A nulla sono valsi i richiami attuati dai libri parlanti della tradizione mandingo, le musiche dei guerriglieri Tuareg della Mauritania e dintorni, il folk urbano quale il fado e il flamenco, i canti tuvani della steppa siberiana, i canti greci, lituani e brasiliani! Tutto ciò non è servito perché l’uomo ha continuato e continua a commettere quantità infinite di errori relativi alla convinzione che la civiltà si raggiunga attraverso la raffinatezza della Techne trascurando l’elaborazione dei codici personali, dando per scontato che la ripetizione accademica sia il miglior modo per impadronirsi della conoscenza e della memoria, volendo procedere con le spalle al sicuro, non tentando minimamente un atto coraggioso di avanzamento sia nella politica sia nell‘arte, puntando unicamente sulla scienza, neanche provando a guardare umilmente le altre forme di cultura molto distanti dalla cosiddetta occidentale. Baldanzoso, presuntuoso e protervo s’incammina per la strada più pericolosa da percorrere: quella ripida della torre d’avorio, che proprio non è più possibile proteggere. Il terrore s’impadronisce di tutti noi, nudi e inermi di fronte al diverso che avanza e ci sommerge… allora montiamo sulla tigre e cavalchiamo sorreggendosi ai pochi pelacci che ancora rimangono alla povera spelacchiata in via d’estinzione!
L’incipit è sempre stato per lo scrittore un vero problema: deve cambiarlo, deve personalizzarlo, deve essere più originale, vario al massimo, inusuale, straordinario, stupefacente, inaspettato, ambiguo tale da solleticare la curiosità, promettente chissà quali trame, accattivante, incantevolmente magico, ammaliante; ogni promessa è un debito! Purtroppo nella maggior parte dei casi tutte queste promesse non sono mantenute e il seguito è una solenne delusione. Lo scrittore deve farci continuamente la sua cruenta battaglia e spesso non risulta vincitore, anzi quasi sempre, soccombe: per la gioia dei lettori, per la pigrizia e per l’invidia dei medesimi. Può darsi che l’avvio sia entusiasmante come: “l’alba di un rosa acceso profumava di verbena… il vento diffondeva piccoli mucchi di petali… il tramonto orlava di cremisi le nuvole all’orizzonte… l’uomo riverso sul davanzale colava sangue dalle orecchie… le grida gioiose delle ragazze si alzavano fino a raggiungere i piani nobili… era intenso l’odore dei cibi a base di pesce… il lento ondeggiare del mare al chiarore della luna… il dio supremo benediceva i fedeli inginocchiati… stando così le cose non abbiamo altro da aggiungere… quanto all’uomo il cui bene coesiste con il male… la folla si spingeva in una folle corsa alla ricerca di un tozzo di pane… il profumo di violetta persisteva immutato”. Lo scrittore ha sfogliato tutti i suoi reperti letterari alla ricerca di ulteriori spunti ma invano riuscirà a cavarsela dignitosamente, di frequente sarà angustiato da un persecutorio dolore di stomaco e da un conseguente alito cattivo. Non sarà confortato dalle vendite consolatorie e dagli indici di ascolto come se fosse, per puro caso, anche uno spiker–performan.
Uno dei re di Babilonia fu Nabopolassar che è rimasto nella storia per aver istituito un modo particolare di pagamento delle tasse evase anche a quel tempo dalla maggioranza dei sudditi: egli decretò su ogni persona un espediente, si direbbe ora di tipo bancario, che consisteva nel timbrare o marchiare qualsiasi cosa il malcapitato possedesse cosicché anche il minimo scambio veniva registrato a suo nome dopodiché niente poteva sfuggire all’occhio vigile del balzelliere. Questi si moltiplicarono, divennero così numerosi che si pose il problema dell’ulteriore aumento dei tributi per pagare tutta la categoria; i poveri babilonesi marchiati a fuoco e strizzati come stracci non sapevano più a che santo votarsi: molti si gettarono in un fiume limitrofo al regno, altri dall’altissima torre stessa, altri ancora optarono per essere gettati come pasto in bocca ai coccodrilli perché gli eredi avrebbero avuto uno sconto sui balzelli futuri. A tutto questo fece seguito una cruenta guerra contro gli Assiri, ma il popolo così stremato e affamato non reagì più di tanto e si fece sgozzare e crocifiggere quasi non alzando un dito… Nabopolassar fu decisamente sconfitto, le sue immense ricchezze razziate, i suoi dignitari impalati, i villaggi incendiati, le donne violentate. Da tale distruzione passarono molti anni prima che potesse risorgere una qualche parvenza di civiltà, i popoli si integrarono lentamente, e lentamente avvenne quella sincronia di etnie chiamata assiro-babilonese e il capo o meglio il re fu Sennacherib.
La città di Kobpah, a est della Russia, nelle desolate terre della penisola Kamčatka, è popolata dagli Evens, particolarissima etnia forse amerinda, vengono chiamati gli indiani della Siberia a ragion veduta perché giunti probabilmente dall’Alaska. Essi vivono appartati, sospettosi verso qualsiasi visitatore proveniente dai popoli occidentali, il loro sistema promiscuo (abitano insieme molte famiglie, compresi alcuni animali) è basato soprattutto per la scarsità di rifornimento dei materiali occorrenti per erigere le capanne che sono nella maggior parte costruite con pelli e ossa di renne e, più raramente, di orso; le renne sono il loro sostentamento: carne, latte, grasso, sangue, feci; queste ultime, essiccate, servono da combustibile. Il sole proietta per circa un mese le ombre lunghe, per il resto dell’anno la luce è soffusa. La sciamana svolge i suoi riti dopo la cattura del maschio della renna: preleva il pene dell’animale, lo succhia fino a ridurlo a tubo del tutto svuotato e raggrinzito dopodiché lo appende alla sua collana che via via aumenterà di questi trofei. In tempo remoto, ma non tanto, questo scherzetto veniva fatto ai nemici maschi quasi sempre mentre erano ancora in vita. Gli Evens hanno un’altra curiosa consuetudine: si confezionano copricapi con le corna di renna e si danno battaglia non disdegnando di farci partecipare anche le donne; talvolta avviene un groviglio pauroso e solo slacciando quei buffi cappelli riescono a divincolarsi, ma la faccenda ancor più umoristica consiste nel pudore che rivelano a capo scoperto quasi fosse una parte da tenersi sempre e costantemente nascosta, difatti chi resta con il capo nudo perde ed è preso in giro da tutti, non solo ma viene cosparso di acqua che subito diviene gelata: la cosa non deve essere per niente piacevole, anzi spesso si rivela una crudele tortura, ma per la maggioranza degli astanti è puro gaudio o godìo che a dir si voglia.
«Simili ai miei sogni estatici sono le intenzioni provocatorie delle mie opere: il desiderio di comunicare, il desiderio di instaurare un filo ininterrompibile con gli altri, e nello stesso tempo, appunto, di provocare stupore, magari anche indignazione o scandalo».1
«Similar to my ecstatic dreams are the provocative intentions of my works: the desire to communicate, the desire to establish an uninterrupted thread with others, and at the same time, in fact, to provoke amazement, perhaps even indignation or scandal».1
Lucia Marcucci – E’ guerra d’eroi (1965)
In occasione della prima esposizione individuale tenutasi in Francia intitolata Lucia Marcucci. Les secrets du langage – Galleria Contemporanea, MAMAC – verrà presentato un confronto tra le opere eseguite durante gli anni Sessanta e Settanta con riferimenti a problematiche socio-politiche di quel tempo, e la sua produzione più recente del primo decennio del 2000 per la maggior parte incentrata sulla critica della pubblicità e della cultura dominante. L’abbondanza di parole, messaggi e immagini fluttuanti invita il visitatore a immergersi completamente nell’universo poetico dell’artista.
On the occasion of the first individual exhibition held in France entitled Lucia Marcucci. Les secrets du langage – Contemporary Gallery, MAMAC – a comparison will be presented between the works performed during the sixties and seventies with references to socio-political issues of that time, and his most recent production of the first decade of 2000 for the most part focused on critique of advertising and dominant culture. The abundance of words, messages and floating images invites the visitor to immerse themselves completely in the artist’s poetic universe.
Lucia Marcucci – I consigli della settimana (1965)
Nata a Firenze nel 1933, Lucia Marcucci è una delle protagoniste principali della poesia visuale in Italia ed una delle rappresentanti di spicco del Gruppo 70. Abbandonati gli studi presso l’Accademia di Belle Arti, nel 1955 si trasferì a Livorno per iniziare a lavorare nel Grattacielo, un teatro d’avanguardia dove collaborò quale assistente del direttore e come creatrice di maschere, annunci pubblicitari e scenografie. Nel 1963 iniziò a mostrare interesse per la poesia visiva, creando i suoi primi collage letterari ove il linguaggio puramente teatrale si mescolava ad espressioni desunte dal gergo popolare.
Born in Florence in 1933, Lucia Marcucci is one of the main protagonists of visual poetry in Italy and one of the leading representatives of the 70 Group. Abandoned her studies at the Academy of Fine Arts, in 1955 she moved to Livorno to start working in Skyscraper, an avant-garde theater where she collaborated as assistant to the director and as a creator of masks, advertisements and sets. In 1963 he began to show interest in visual poetry, creating his first literary collages where purely theatrical language was mixed with expressions derived from popular jargon.
Lucia Marcucci – L’offesa (1964)
Uno dei suoi primi collage, intitolato “L’indiscrezione è forte” (1963), è composto da fogli di carta piegati insieme e saturati con frasi stampate desunte da libretti d’opera dell’Ottocento, frammenti poetici, saggi letterari e politici, ma soprattutto annunci pubblicitari e ritagli di giornale. Seguirono nel 1964 i manifesti “L’offesa” e “Un proverbio cinese”, entrambi realizzati con l’impego di caratteri impressi tramite l’uso di matrici lignee. Durante lo stesso periodo Marcucci invitò i membri fiorentini del Gruppo 70 – fondato nel 1963 da Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti e Antonio Bueno durante la conferenza “Arte e Comunicazione” tenutasi presso il Forte Belvedere in Firenze – per mettere in scena “Poesie e no” (1963), happening di successo riproposto in diverse occasioni dal gruppo. Scopo primario degli artisti aderenti a questo gruppo risultava la rivalutazione del linguaggio nel periodo frenetico dello sviluppo delle comunicazioni di massa: la parola viene trattata come un oggetto propriamente autonomo tra nuovi sistemi di comunicazione. La relazione tra “immagine” e “parola” diventa il campo di gioco per ogni possibile sperimentazione, promuovendo la tecnica del collage quale principale mezzo espressivo. Il gruppo si separò alla fine del 1968, ma Lucia Marcucci, insieme ad altri poeti visuali, fondarono in seguito il Gruppo di Poesia Visiva Internazionale, le cui riviste Lotta poetica e De Tafelronde divennero emblematiche.
One of his first collages, entitled “Indiscretion is strong” (1963), is made up of sheets of paper folded together and saturated with printed phrases taken from nineteenth-century opera librettos, poetic fragments, literary and political essays, but especially advertisements and newspaper clippings. The posters “The offense” and “A Chinese proverb” followed in 1964, both made with the use of characters impressed through the use of wooden matrices. During the same period Marcucci invited the Florentine members of Gruppo 70 – founded in 1963 by Eugenio Miccini, Lamberto Pignotti and Antonio Bueno during the “Art and Communication” conference held at the Forte Belvedere in Florence – to stage “Poesie e no” (1963), a successful happening repeated on several occasions by the group. The primary purpose of the artists belonging to this group was the re-evaluation of language in the frenetic period of the development of mass communications: the word is treated as a properly autonomous object among new communication systems. The relationship between “image” and “word” becomes the playing field for any possible experimentation, promoting the collage technique as the main means of expression. The group separated at the end of 1968, but Lucia Marcucci, together with other visual poets, later founded the International Visual Poetry Group, whose magazines Lotta poetica and De Tafelronde became emblematic.
Lucia Marcucci – I segreti del linguaggio (1970)
Composto da ritagli di riviste e annunci pubblicitari con messaggi incapsulati in “nuvolette” prese in prestito da comics, il lavoro di Lucia Marcucci reinterpreta problemi politici e sociali del suo tempo, spesso trattati con sottile ironia e provocazione, enfatizzando la condizione delle donne nella società contemporanea e l’oggettizzazione delle loro immagini. Nel lavoro fotografico intitolato “La ragazza squillo” (1965), è l’artista stessa a posare con un cartello stradale tra le braccia, indicando la presenza fisica di una cabina telefonica, espediente che le permette di denunciare il cliché della donna-oggetto, disponibile dopo una sola chiamata, e quindi priva d’identità e personalità. In “Come ama, come lavora” (1972), l’artista ricorre agli stessi espedienti visivi per denunciare lo stereotipo della perfetta donna di casa, efficiente nella vita pubblica come nei suoi doveri domestici.
Composed of magazine clippings and advertisements with messages encapsulated in “clouds” borrowed from comics, Lucia Marcucci’s work reinterprets political and social problems of her time, often treated with subtle irony and provocation, emphasizing the condition of women in society contemporary and the objectification of their images. In the photographic work entitled “The call girl” (1965), it is the artist herself who poses with a road sign in her arms, indicating the physical presence of a telephone booth, an expedient that allows her to denounce the cliché of the woman-object, available after a single call, and therefore devoid of identity and personality. In “How he loves, how he works” (1972), the artist uses the same visual devices to denounce the stereotype of the perfect housewife, efficient in public life as well as in her domestic duties.
Lucia Marcucci – I segreti della stampa (1971)
Durante i primi anni Settanta l’artista, come altri poeti visuali, sperimentò con l’uso dell’emulsione su tela (una tecnica di trasferimento fotografico), proponendo spesso immagini prese dalla Storia dell’Arte. L’uso del bianco e nero e la totale piattezza o bidimensionalità dell’immagine risultante da questa tecnica rende più incisiva la sovrapposizione, o più spesso il solo contorno, di testo e immagine. In “Ecologia” (1973), Marcucci altera un dipinto di Daniel Fröschel raffigurante Adamo ed Eva, aggiungendovi la parola del titolo e sostituendo il frutto proibito con una granata disegnata, manifestando quindi il suo personale punto di vista sull’impatto dei confronti internazionali concernenti la salvaguardia dell’ambiente.
During the early seventies the artist, like other visual poets, experimented with the use of emulsion on canvas (a photographic transfer technique), often proposing images taken from the History of Art. The use of black and white and the total flatness or two-dimensionality of the image resulting from this technique makes the overlapping, or more often only the outline, of text and image more incisive. In “Ecology” (1973), Marcucci alters a painting by Daniel Fröschel depicting Adam and Eve, adding the title word and replacing the forbidden fruit with a drawn grenade, thus expressing his personal point of view on the impact of international comparisons concerning safeguarding the environment.
Lucia Marcucci – Ecologia (1973)
A partire dal 1976 i suoi lavori mostrano tracce della sua presenza fisica con l’aggiunta di frasi o iscrizioni eseguite direttamente a mano, i motti e le immagini diventano più autobiografiche o antropomorfiche. “Aa, Bb, Cc” (1977), dalla serie “Impronte”, venne presentato nella esposizione “Materializzazioni del linguaggio” durante la Biennale di Venezia del 1978. In questa stampa, il campionario alfabetico si mescola con le impronte dei seni e del ventre dell’artista stessa, facendo allusione alle immagini delle Veneri preistoriche e all’iconografia della Dea Madre.
Since 1976 his works show traces of his physical presence with the addition of phrases or inscriptions made directly by hand, the mottos and images become more autobiographical or anthropomorphic. “Aa, Bb, Cc” (1977), from the “Impronte” series, was presented in the exhibition “Materializations of language” during the 1978 Venice Biennale. In this print, the alphabetical sample mixes with the imprints of the breasts and belly of the artist herself, alluding to the images of prehistoric Venuses and the iconography of the Mother Goddess.
Lucia Marcucci – Aa, Bb, Cc, (1977)
La produzione più recente dell’artista (2000-2010) offre una ricerca ibrida che include poesia, musica, performance e comunicazione di massa, ricordando sempre il potere straordinario dell’immagine. Nella serie intitolata “Città Larga”, Lucia Marcucci propone una manipolazione di una tipologia di mezzo pubblicitario largamente diffuso agli inizi del Millennio nelle aree urbane: bandiere di tela appese sui lampioni su cui campeggiano immagini concepite secondo una logica popolare che mai si allontana dai più collaudati cliché. L’artista utilizza tali immagini per cambiare il loro significato o per accentuare l’assurdità che governa la relazione tra immagine e testo. Come nel lavoro intitolato “Sacro” (2012), ove un annuncio pubblicitario per la vendita di un liquore viene ironicamente trasformato in una apologia per telefoni mobili, o in “Our Lady” (2009), dove un annuncio pubblicitario di moda viene distorto fino a trasformarsi in una immagine biblica per amplificare il cliché della donna perfetta venduto dai media e denunciare i dettami dell’industria della moda.
The artist’s most recent production (2000-2010) offers a hybrid research that includes poetry, music, performance and mass communication, always remembering the extraordinary power of the image. In the series entitled “Città Larga”, Lucia Marcucci proposes a manipulation of a type of advertising medium widespread at the beginning of the millennium in urban areas: canvas flags hung on the street lamps on which images conceived according to a popular logic that never strays from the most proven clichés. The artist uses these images to change their meaning or to accentuate the absurdity that governs the relationship between image and text. As in the work entitled “Sacred” (2012), where an advertisement for the sale of a liquor is ironically transformed into an apology for mobile phones, or in “Our Lady” (2009), where a fashion advertisement is distorted into to transform into a biblical image to amplify the cliché of the perfect woman sold by the media and denounce the dictates of the fashion industry.
Lucia Marcucci – Our Lady (2009)
L’incitamento al consumo promosso dai mass media, con le sue immagini invasive e alienanti, avrebbero permesso a Lucia Marcucci di creare una nuova forma di linguaggio critico attraverso la poesia visiva, come d’altronde spiegato dall’artista stessa: “L’opera di poesia visiva dunque non nasce dalla letteratura o dalla pittura ma come opera autonoma del conflitto dell’uomo con i mezzi di comunicazione di massa”.
The incitement to consumption promoted by the mass media, with its invasive and alienating images, would have allowed Lucia Marcucci to create a new form of critical language through visual poetry, as explained by the artist herself: “The work visual poetry therefore does not arise from literature or painting but as an autonomous work of man’s conflict with the mass media”.
Lucia Marcucci – Non c’è dove posare lo sguardo (2012)
Il lavoro di Lucia Marcucci è stato messo in evidenza al MAMAC nelle mostre collettive “She-Bam Pow Pop Wizz! Les Amazones du POP”, 2020-21 – a cura di Hélène Guenin e Géraldine Gourbe; e “Vita Nuova. Nuovi numeri nell’arte in Italia 1960-1975”, estate 2022 – a cura di Valérie Da Costa.
Lucia Marcucci’s work was highlighted at the MAMAC in the group exhibitions “She-Bam Pow Pop Wizz! Les Amazones du POP”, 2020-21 – curated by Hélène Guenin and Géraldine Gourbe; and “Vita Nuova. Nouveaux enjeux de l’art en Italie 1960-1975”, summer 2022 – curator Valérie Da Costa.
Il CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia rende omaggio alla storica galleria Il Gabbiano che, in cinquant’anni di ricerca artistica e con oltre 500 mostre, ha portato in città le eccellenze dell’arte contemporanea italiana e internazionale, con approfondimenti dedicati alla Poesia visiva, a Fluxus, all’Arte concettuale, alla Body Art e alle esperienze legate alla musica e al suono.
L’esposizione “Attraverso l’arte. La galleria Il Gabbiano 1968-2018“, in programma dal 27 maggio al 25 settembre 2022 al secondo piano del Museo e nella project room, è curata da Mario Commone in dialogo con Mara Borzone, Francesca Cattoi, Cosimo Cimino, Lara Conte e Marta Manini, ideatrice del progetto grafico e di allestimento; la direzione del progetto è affidata ad Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati, conservatrici del Centro.
Il Gabbiano ha avuto il merito di porre al centro del suo percorso la figura dell’artista, attenzione posta fin dagli esordi probabilmente perché la galleria, attiva dal 1968 al 2018, è stata sempre condotta da soli artisti, spinti dalla necessità di avere tra di loro e con il pubblico uno spazio di dialogo e di confronto. Ci sono comunque state nel corso degli anni fruttuose collaborazioni con critici e storici dell’arte, nonché galleristi, che hanno contribuito a ramificare sempre più la rete di contatti e conoscenze che ha reso la galleria nota a livello nazionale e con numerosi contatti anche all’estero.
La galleria Il Gabbiano nasce alla Spezia nel 1968 per volontà di una dozzina di artisti. Un’esigenza probabilmente scaturita dalla mancanza in città di situazioni analoghe ed essendo venuto meno da pochi anni anche il Premio del Golfo, rassegna periodica di pittura di rilevanza nazionale.
Gli interessi del Gabbiano – nel frattempo gli artisti che compongono il circolo si riducono a quattro (Fernando Andolcetti, Cosimo Cimino, Mauro Manfredi e Clara Milani) – si orientano poi verso le ricerche d’avanguardia che si affiancano al concettuale, quali la Poesia visiva e Fluxus, in particolare grazie ai rapporti con artisti importanti come, ad esempio, Mirella Bentivoglio, che ha contribuito a mettere in relazione tutta una serie di altri artisti che lavoravano secondo un linguaggio legato sia alla parola che all’immagine fotografica, quindi alla loro connessione. Altro artista e teorico importante che ha stretto una ininterrotta collaborazione fino agli ultimi anni è Lamberto Pignotti, tra i padri della Poesia visiva, con lui Lucia Marcucci, Eugenio Miccini e Giuseppe Chiari, tutti protagonisti di collaborazioni e mostre personali alla galleria Il Gabbiano.
Lucia Marcucci – Logopatia (2006)
Negli anni quindi Il Gabbiano ha visto passare opere di numerosissimi artisti, oltre a quelli già citati, ad esempio, la spezzina Ketty La Rocca – contribuendo a far conoscere il suo importante lavoro -, Mimmo Rotella, Ugo Nespolo, Richard Smith, Ben Vautier, Philip Corner, Takako Saito, Jiri Kolář, Emilio Isgrò, Ben Patterson, Sarenco, Rodolfo Vitone, Maria Lai, Gillo Dorfles, Nanni Balestrini, Pietro Grossi.
Un capitolo a parte merita il sodalizio con il pittore Edo Murtić, che a partire dal 1970 ha realizzato numerose mostre personali, lavorando praticamente in esclusiva e producendo litografie inedite per Il Gabbiano.
Il progetto espositivo ripercorre la cinquantennale vicenda della galleria attraverso una silloge di oltre centocinquanta opere. Nella project room è inoltre proposta un’installazione corale, che riprende le dinamiche espositive della galleria, caratterizzate sovente da mostre collettive e tematiche, per le quali i partecipanti, in formazione variabile, erano chiamati a inviare un’opera secondo le indicazioni richieste, creando delle vere e proprie collane che avevano anche uno sviluppo editoriale. Per l’occasione, cinquanta artiste e artisti, che nel corso degli anni hanno esposto al Gabbiano, sono stati invitati a dare un contributo-omaggio alla mostra sotto forma di bandiera. La bandiera diventa così simbolo di libertà e leggerezza, elementi che hanno sempre contraddistinto l’identità del Gabbiano.
A cura di Mario Commone In collaborazione con Mara Borzone, Francesca Cattoi, Cosimo Cimino, Lara Conte, Marta Manini Direzione del progetto: Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati