POESIE E NO / LUNA – PARK (1966) | Teatro Universitario – Salone degli Specchi | Venezia
POESIE e NO – A cura di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Testi di Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti. Azione pittorica di Antonio Bueno. Teatro Universitario, Ca’ Foscari, Venezia.
LUNA – PARK – Con Baj, A. Bueno, Bugli, B. Oliva, S. Bussotti, Chiari, Del Pezzo, Guala, Loffredo, L. Marcucci, Matarese, Melani, Miccini, Moretti, Paladino, Pascali, Persico, Pignotti, Raffaele, Ximenes, G. Ziveri. Salone degli Specchi, Ca’ Giustinian, Venezia.
PROMOTORI: Giuseppe Chiari, Ketty La Rocca, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti.
LUOGO: Firenze
PARTECIPANTI (elenco di coloro che, a vario titolo, hanno partecipato ai convegni, mostre, e/o iniziative editoriali del Gruppo): Luciano Anceschi, Nanni Balestrini, Renato Barilli, Achille Bonito Oliva, Vinicio Berti, Antonio Bueno, Sylvano Bussotti, Gillo Dorfles, Umberto Eco, Danilo Giorgi, Alfredo Giuliani, Pietro Grossi, Angelo Guglielmi, Emilio Isgrò, Klaus Koening, Francesco Leonetti, Silvio Loffredo, Luca (Luigi Castellano), Roberto Malquori, Stelio Maria Martini, Hans-Klaus Metzger, Alberto Moretti, Gualtiero Nativi, Giulia Niccolai, Elio Pagliarani, Michele Perfetti, Antonio Porta, Edoardo Sanguineti, Giuliano Scabia, Adriano Spatola, Aldo Tagliaferri, Luigi Tola, Patrizia Vicinelli, Cesare Vivaldi, Roman Vlad, Guido Ziveri.
Logo del Gruppo ’70
Costituitosi nel maggio del 1963, in seguito al convegno Arte e comunicazione promosso da Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Sergio Salvi e Silvio Ramat, il Gruppo ’70 è formato da una frastagliata compagine di poeti, narratori, critici, intellettuali, artisti e musicisti, per lo più legati alla scena sperimentale fiorentina, e in particolare al côté della rivista «Quartiere», all’esperienza pittorica di Nuova Figurazione (A. Bueno, V. Berti, G. Nativi, C. Cioni, S. Loffredo, A. Moretti, R. Guarnieri), alla scuola di Nuova Musica (S. Bussotti e G. Chiari). Il nucleo dei promotori è costituito in prima istanza da Lamberto Pignotti e Eugenio Miccini (i due teorici e fondatori del gruppo), ai quali si aggiungono tra il 1963 e il 1965 Giuseppe Chiari, Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Luciano Ori. Le premesse teoriche per la promozione del Convegno e la nascita del Gruppo si sviluppano all’interno della rivista «Quartiere», pubblicata a Firenze dal 30 giugno 1958 al 31 dicembre 1960 (prima serie), per iniziativa di Gino Gerola, Sergio Salvi, Giuseppe Zagarrio, Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini. La rivista proponeva una riflessione sul rapporto tra letteratura e società, con particolare attenzione al linguaggio e ai nuovi temi connessi allo sviluppo tecnologico e scientifico. Nel 1962, Pignotti approfondisce il discorso in due articoli apparsi sulla rivista «Questo e Altro» (L’industria che non si vede; La poesia tecnologica), nei quali, sulla scorta delle teorie estetiche di Max Bense, formula l’ipotesi di una “poesia tecnologica”, capace cioè di avvalersi dei temi, delle tecniche e dei linguaggi della comunicazione di massa per farsi interprete dei profondi cambiamenti intervenuti all’interno della società. Tema questo, che costituisce l’argomento centrale del convegno organizzato nel 1963 – Arte e comunicazione – i cui atti sono pubblicati nell’inserto «Dopotutto» curato da Pignotti e Eugenio Miccini, per la rivista «Letteratura» (adesso consultabili in La poesia in immagine / l’immagine in poesia. Gruppo 70. Firenze 1963-2013, a cura di T. Spignoli, M. Corsi, F. Fastelli, M. C. Papini, Campanotto, Pasian di Prato 2014, pp. 189-213). Il convegno – sponsorizzato dall’Azienda di Promozione Turistica – vide la partecipazione di alcuni membri del futuro Gruppo 63 (B. Barilli, U. Eco, E. Pagliarani, E. Sanguineti) oltre a numerosi esponenti della scena intellettuale e avanguardistica italiana e internazionale, tra cui L. Anceschi, G. Dorfles, P. Grossi, C. Vivaldi, R. Vlad, K. Metzger, K. Koening. Nel suo intervento, Pignotti rileva come tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta si sia verificata una standardizzazione degli stilemi tipici dell’avanguardia artistica e letteraria, adottati dal linguaggio pubblicitario e dall’industria, che a suo avviso è divenuta l’«unica committente dell’arte, agevolandone il consumo e convertendolo in usura», per tale motivo occorre superare l’avanguardia per collocarsi al di fuori dei meccanismi del mercato propri della società capitalistica, attraverso l’adozione di nuove tecniche di composizione, come il “collage” linguistico e la commistione tra registro verbale e registro visivo, nella consapevolezza del ruolo preminente assunto dalle immagini nella comunicazione di massa. Ciò ha come esito esperimenti interdisciplinari che mescolano programmaticamente i diversi generi della creazione artistica, in direzione di una poesia da vedere e di una pittura da leggere (cfr. L. Pignotti, Poesia da vedere e pittura da leggere, «Letteratura», n. 69-70-71, maggio-ottobre 1964, p. 235). In questo senso sono da intendersi due mostre organizzate alla fine del 1963, ovvero Area letteraria nella Nuova Figurazione, a cura di Corrado Del Conte e Franco Manescalchi presso la Galleria Il Fiore di Firenze (14-31 dicembre), con la partecipazione di Pignotti, Miccini, Luzi, Gatto, Fortini; e Tecnologica, primo evento organizzato dal Gruppo 70, presso la Galleria Quadrante tra il 19 dicembre 1963 e l’8 gennaio 1964, con opere dei pittori Bueno, Loffredo, Moretti, spartiti contaminati con la pittura e la letteratura di Bussotti e Chiari, e poesie visive di Miccini e Pignotti. Il tema della mostra, ovvero il rapporto tra arte e tecnologia, è alla base del secondo convegno (il primo promosso e organizzato dal Gruppo 70), che si tenne al Forte Belvedere di Firenze nei giorni 27, 28, 29 giugno 1964, con il titolo proprio di Arte e tecnologia. L’evento vide la partecipazione di importanti personalità del panorama letterario, artistico e musicale, come Anceschi, Dorfles, Eco, Vlad, Kagel, Brown, Cage, Chiari, Bussotti, Higgins, Rzewski. Al convegno fu affiancata una mostra presso la Galleria Santa Croce, con opere di Bueno, Del Pezzo, Loffredo, Moretti, Ori, Mondino, Rotella, Schifano, Barni e Malquori, una serie di “concerti-letture” dedicati a poeti sperimentali e a musicisti d’avanguardia. Gli atti, pubblicati sulla rivista «Marcatré» (nn. 11-12-13, 1965, pp. 104-177), sono introdotti da una breve presentazione di Giuseppe Chiari, curatore della parte «spettacolare-artistica» della manifestazione, che mette in evidenza la natura interdisciplinare e perfomativa dell’evento, non a caso definito con il termine di Festival, poi sigla scelta per i futuri incontri del Gruppo. La parte «teorico-saggistica» è invece a cura di Miccini e Pignotti, che nei due interventi di apertura definiscono le linee programmatiche dell’operazione teorica e letteraria, sempre più connotata come azione di esplicito dissenso culturale. Ciò appare evidente sin dal titolo della breve nota di Miccini – Trasformare i mass media in mass culture (ivi, pp. 106-107)– nella quale oltre a ribadire l’interesse per i linguaggi tecnologici che «sono il tramite biunivoco tra la scienza e il senso comune, tra le costruzioni concettuali e l’esercizio pragmatico, tra l’ideale e il fattuale, tra l’ideologia e la tecnologia», ribadisce la necessità di avvicinare la letteratura ai linguaggi della comunicazione di massa per “trasformarli” in senso estetico. In maniera ancor più radicale, in La suggestione di Gordon Flash (ivi, pp. 107-109), Pignotti indica i caratteri della nuova “arte tecnologica” non solo nell’assunzione dei linguaggi della società di massa, tra cui, ad esempio, il fumetto e il fotoromanzo, ma anche nell’adozione dei mezzi di comunicazione tipici della comunicazione di massa, in modo da diffondere il prodotto estetico all’interno del tessuto sociale. L’operazione si basa su una programmatica intermedialità e interdisciplinarietà, volta alla mescolanza di più generi (poesia, musica, pittura) e di più media (il quadro, il libro, la musicassetta, il videotape), utilizzando il bacino di immagini iconiche e il repertorio verbale della società contemporanea, prelevato da riviste, giornali, fotoromanzi, fumetti, grafici matematici, note amministrative, ecc…, e poi liberamente ricombinato in un “prodotto” estetico che si pone come radicalmente alternativo sia alla tradizione che ai generi artistici e letterari di consumo, veicolati dal mercato dell’arte o dall’industria editoriale. In questo senso occorre ricordare lo spettacolo performativo Poesie e no – vero e proprio happening ante litteram – rappresentato per la prima volta il 4 aprile 1964 al Gabinetto Scientifico Letterario «G. P. Vieusseux» di Firenze, poi replicato al medesimo anno al Piccolo Teatro Città di Livorno, con regia di Enrico Sirello e quindi messo in scena direttamente dai componenti del Gruppo 70 (Marcucci, Miccini, Pignotti, cui si aggiunsero Bueno e Isgrò) alla Libreria Feltrinelli di Roma (centro culturale assai legato al Gruppo 63) nel 1965. Lo spettacolo prevedeva letture poetiche, la proiezione di video-tape, la realizzazione di manifesti di poesie visive, la riproduzione di musiche sperimentali e una serie di azioni provocatorie diretta al pubblico, per stimolarne la reazione. La tendenza performativa e spettacolare, così come l’idea di utilizzare il quadro e il manifesto come medium privilegiato della poesia, risponde al tentativo di connotare in senso estetico la vita sociale, a partire dal contesto urbano, con l’idea provocatoria di «affiggere poesie per le strade e per le piazze», come afferma Pignotti nell’intervento dedicato alla mostra di poesia visiva organizzata dal Gruppo 70 in occasione del Convegno del 1965 del Gruppo 63 («Dopotutto», inserto di «Letteratura», n. 73, 1965, p. 75). Ciò risulta evidente in una serie di iniziative organizzate proprio a partire dal 1965, ovvero il terzo Convegno promosso dal Gruppo e definito come un Festival, sin dal titolo – Terzo Festival – che si tenne presso la Galleria La Vigna Nuova e la Galleria Numero di Firenze dal maggio al luglio 1965, con una serie di iniziative diffuse nella città, come eventi, dibattiti, mostre e concerti, articolati in quattro sezioni (Argomenti, Pittura, Musica, Poesia), cui si somma un’importante mostra – Luna Park – nella quale è esposta un’opera interdisciplinare – Preistoria contemporanea – realizzata da Bueno, Moretti, Raffaele, Pignotti, Bussotti. Alla manifestazione prendono parte numerosi esponenti della scena artistica e intellettuale italiana e straniera; tra di essi si segnalano anche alcuni membri del Gruppo 63 (Balestrini, Sanguineti, Pagliarani, Porta, Scabia) e alcuni esponenti dell’avanguardia verbovisiva, come Adriano Spatola, Stelio Maria Martini, e Luigi Tola, legati rispettivamente al vivace clima romagnolo, dove operava l’editore Sampietro (Spatola), al Centro Continuum di Napoli (Martini), e all’ambiente genovese e milanese (Tola). La seconda iniziativa riguarda proprio l’editore Riccardo Sampietro che in quell’anno dà alle stampe la prima antologia di poesia visiva (Poesie visive), pubblicata nella collana «il dissenso», in quattro volumetti composti da schede singole con opere di N. Balestrini, A. Bonito Oliva, D. Giorgi, Luca (L. Castellano), E. Isgrò, E. Miccini, L. Pignotti, L. Marcucci, S. Maria Martini, L. Ori, A. Porta, A. Giuliani, A. Spatola, L. Tola, G. Ziveri. L’antologia, in linea con il medesimo intento della collana, che ospita negli anni numerose opere verbovisive, si propone di portare all’attenzione del pubblico un prodotto controculturale, capace di provocare tra le «domestiche pareti» dei «borghesi benpensanti», «un’esplosione non soltanto rumorosamente formale ma anche concretamente ideologica» (L. Pignotti, Introduzione all’antologia). Nel 1965 si afferma infatti pienamente la tecnica compositiva del collage di immagini e frasi tratte da quotidiani, rotocalchi, riviste, fumetti, ecc… che ha come scopo quello di servirsi dei linguaggi della comunicazione di massa per svelarne l’insensatezza e il vuoto ideologico, soprattutto rispetto a temi di cogente attualità come le diseguaglianze tra l’Occidente e i paese del terzo mondo, la guerra in Vietnam, i costumi e la morale restrittiva della società borghese. Miccini descrive l’operazione come la “tecnica del cavallo di Troia”, laddove la poesia visiva si serve dei feticci e delle icone della società di massa per contestarne gli assunti principali. In questo senso egli descrive la poesia visiva come una «guerriglia» (con riferimento anche a Burroughs e alla beat generation), che «si serve non solo della parola e dell’immagine, ma anche della luce, del gesto, insomma di tutti gli strumenti “visibili” del comunicare, e deve necessariamente e progressivamente tendere a trasformare i propri mezzi (qualora ne possa ipotizzare e realizzare mediante un circuito clandestino) in quelli delle comunicazioni di massa fino ad impadronirsene (come voleva Burroughs) per trasformare “con” essi la società stessa» (Poesia e/o poesia. Situazione della poesia visiva italiana, a cura di E. Miccini, Edizioni Sarmic, Brescia-Firenze 1972). Utilizzando quindi tutte le risorse a disposizione, l’azione sperimentale riguarda sia il tradizionale medium del libro con la creazione di libri d’artista, presso case editrici indipendenti (come Sampietro), oppure in ciclostile, che la messa in scena di veri e propri happening in cui convergono più media (il teatro, il videotape, i gesti e le azioni del corpo, la musica). A questo proposito vale la pena di ricordare le azioni performative di Ketty La Rocca, spesso realizzate assieme agli altri membri del Gruppo, come Approdo (1967) e Volantini sulla strada (1967), oltre alla manifestazione Parole sui muri. Prima Esposizioni Internazionale di Manifesti (1967, a cura di C. Parmeggiani e A. Spatola), che si tenne a Fiumalbo, trasformando l’intero paesino in una sorta di spazio artistico a cielo aperto, con happening e installazioni di vario genere. Tali eventi esprimono l’utopia di una riappropriazione in senso estetico dello spazio pubblico della città, in linea con quanto proposto dall’Internazionale Situazionista, secondo modalità provocatorie e giocose che saranno poi riprese dai gruppi italiani della scena beat, sia per quanto riguarda l’organizzazione di reading e festival, sia soprattutto relativamente all’assunzione di strategie provocatorie volte a suscitare shock nello spettatore. In questo periodo i membri del Gruppo sono in stretto contatto con altri centri di sperimentazione verbovisiva del territorio italiano, come ad esempio il centro Continuum di Napoli, i nuclei sperimentali di Genova come il Gruppo Studio, la Galleria La Carabaga, la rivista «Ana Eccetera», il centro Tool di Milano; attraverso di essi si viene a delineare una diffusa rete di controcultura che precede cronologicamente la nascita del movimento beat italiano e della contestazione studentesca. Non a caso il gruppo si scioglie nel 1968, in coincidenza con l’acuirsi della protesta politica e sociale che sconvolge il paese e che di fatto porta ad un esaurimento delle manifestazioni artistiche controculturali, in certo senso riassorbite o modificate dal dilagare dei movimenti giovanili. I membri del Gruppo continueranno tuttavia ad operare sia singolarmente che attraverso la costituzione di riviste, gruppi, e centri culturali, come ad esempio il Gruppo di Poesia visiva internazionale, il centro Téchne di Eugenio Miccini, la rivista «Lotta Poetica» di Sarenco.
CONVEGNI: Arte e comunicazione, 24-26 maggio 1963, Firenze Arte e tecnologia, 27-29 maggio 1964, Firenze Terzo Festival / Gruppo ’70, 28 maggio-22 luglio 1965, Firenze
RIVISTE: «Protocolli», inserto di «Letteratura» (Roma, 1961-1964); «Marcatrè» (1963-1970, Genova, Roma, Milano); «Dopotutto», inserto di «Letteratura» (Roma, 1964-1966).
CASE EDITRICI: Sampietro (Bologna).
BIBLIOGRAFIA: Per la storia del Gruppo ’70 si rimanda all’imprescindibile catalogo curato da L. Saccà, La parola come immagine e come segno. Firenze: storia di una rivoluzione colta (1960-1980), Pacini Editore, Pisa 2000; e, tra le molte pubblicazioni, a: Parole contro, 1963-1968. Il tempo della Poesia Visiva, a cura di L. Fiaschi, Carlo Cambi Editore, Siena 2009; La poesia in immagine / l’immagine in poesia. Gruppo 70. Firenze 1963-2013, a cura di T. Spignoli, M. Corsi, F. Fastelli, M. C. Papini, Campanotto, Pasian di Prato 2014. Per un approfondimento della linea di contestazione culturale e politica propria del Gruppo, si segnala Lotta poetica. Il messaggio politico nella poesia visiva 1965-1978, a cura di B. Carpi De Resmini, Guidonia Montecelio (Roma), Iacobelli Editore 2017.
[testo di Teresa Spignoli, tratto dal progetto di ricerca online LE CULTURE DEL DISSENSO, Università degli Studi di Firenze]
Poesia Visiva Internazionale (1973) | Studio Inquadrature 33 | Firenze
Mostra di Poesia Visiva numero 3, in collaborazione con lo Studio Brescia, a cura di Luciano Ori. Artisti in mostra: Herman Damen, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini.
Mostra dei pittori del Gruppo ’70 e mostra di Poesie Visive (1965) | Galleria le Muse | Perugia
In collaborazione con la rivista “Il Portico”, a cura di Camillo (Lelio Missoni) e del Gruppo ’70. Artisti in mostra: Achille Bonito Oliva, Antonio Bueno, Camillo (Lelio Missoni), Emilio Isgrò, Ketty La Rocca, Roberto Malquori, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Gian Battista Nazzaro, Luciano Ori, Felice Piemontese, Lamberto Pignotti, Leonardo Rosa, Gianni Ruffi, Antonino Russo, Luigi Tola, Franco Vaccari, Guido Ziveri.
Mostra dei pittori del Gruppo ’70 e mostra di Poesie Visive (1965)
Autori principali: Lucia Marcucci, Lamberto Pignotti, Antonio Bueno, Ketty La Rocca, Eugenio Miccini, Giuseppe Chiari, Luciano Ori, Emilio Isgrò (1964-1967)
Lo spettacolo Poesie e no fu presentato per la prima volta il 4 aprile 1964 al Gabinetto Scientifico Letterario «G.P. Vieusseux». Esso prevedeva la lettura di poesie di Giovanni Giudici, Angelo Guglielmi, Francesco Leonetti, Eugenio Miccini, Elio Pagliarani, Lamberto Pignotti, Giovanni Raboni, Roberto Roversi, Gianni Toti, accompagnate dalle musiche di Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari. Nello stesso anno fu messo in scena al Piccolo Teatro Città di Livorno, dal Centro artistico Il Grattacielo, con cui in quel periodo collaborava Lucia Marcucci. Secondo quanto indicato dal volantino, lo spettacolo andò in scena sabato 23 maggio, domenica 24 maggio, mercoledì 27 maggio, giovedì 28 maggio, sabato 30 maggio e domenica 31 maggio, con la regia di Enrico Sirello, e i seguenti attori: Marcella Aurili, Aldo Bagnoli, Alberta Morelli, Giancarlo Santerini, Mario Sassetti. Il copione era composto da testi di Giudici, Guglielmi, Leonetti, Miccini, Pagliarani, Pignotti, Raboni, Roversi, Toti, Vivaldi, cui si aggiungevano brani da autori classici come Esopo e Shakespeare, liberamente combinati con “estratti” prelevati da riviste e quotidiani («Il Corriere della Sera», «L’Espresso») e dal «Codice della strada», oltre a filmati (uno spezzone tratto da “La vita di Hitler”), canzoni di moda, e quattro brani musicali di Sylvano Bussotti e Giuseppe Chiari.
Centro artistico “Il Grattacielo”, Livorno (1964)
Dopo queste due prime rappresentazioni lo spettacolo fu messo in scena direttamente dai componenti del Gruppo ’70 (Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci), cui si aggiunsero anche Antonio Bueno ed Emilio Isgrò, che parteciparono alla manifestazione tenutasi alla libreria Feltrinelli di Roma nel 1965, con il titolo di Poesie e no 3. A quest’altezza cronologica, Poesie e no si struttura come uno spettacolo multimediale nel quale vengono attivati sinergicamente differenti linguaggi artistici, mescolati per lo più a materiali di provenienza bassa, con effetto comico e straniante. Alla lettura di testi di Pignotti e Miccini, si alterna la declamazione di notizie giornalistiche e sportive, di articoli del codice della strada, di slogan di vario tipo, e di brani di romanzi rosa o fantascientifici, ricombinati in un insieme volto a provocare e stravolgere lo spettatore; a ciò si accompagna l’esecuzione delle partiture di Giuseppe Chiari registrate su nastro magnetico a cui si frappongono spezzoni di canzonette popolari, e suoni concreti. Sulla scena vengono eseguite contemporaneamente alcune azioni pittoriche realizzate da Lucia Marcucci che nel corso dello spettacolo affigge manifesti da lei creati, per poi strapparli, e vengono proiettati film sperimentali; inoltre alla tecnica cinematografica si richiama esplicitamente il montaggio dei differenti materiali, eseguito attraverso sovrapposizioni, dissolvenze, sequenze, riprese.
copione “POESIE E NO 3”
Oltre alle prime rappresentazione del 1964, si segnalano alcune sedi e date della manifestazione, alla cui realizzazione contribuirono in vario modo e in tempi diversi, Lamberto Pignotti, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci, Ketty La Rocca, Luciano Ori, Emilio Isgrò, Antonio Bueno, Giuseppe Chiari:
1965:
Firenze, Libreria Feltrinelli
Empoli, Biblioteca Comunale
Abbazia (Croazia), Convegno della rivista “La Battana”
Palermo, Festival del Gruppo 63
Roma, Libreria Feltrinelli
Napoli, Libreria/Galleria Guida
Libreria Feltrinelli, Firenze (1966)
1966:
La Spezia, Festival del Gruppo 63
Firenze, Libreria Feltrinelli
Milano, Università l’Umanitaria
Venezia, Teatro Universitario di Ca’ Foscari
Teatro Universitario di Ca’ Foscari, Venezia (1966)
1967:
Spoleto, Festival dei Due Mondi
Firenze, Circolo García Lorca
Gallarate, Milano
Circolo García Lorca, Firenze (1967)
Si ricorda che Poesie e no fu trasmesso dal Terzo programma della RAI nel 1967. Uno dei copioni dello spettacolo è stato pubblicato da Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti, Poesie e no n. 4, «Nuova Corrente», n. 39-40, 1966.
I manifesti realizzati da Lucia Marcucci durante lo spettacolo tenutosi ad Abbazia, sono pubblicati con il titolo Poesie visive-manifesti, sulla rivista “La Battana”, Fiume, marzo 1965.
Lucia Marcucci – L’offesa (1964)
[testo di Teresa Spignoli, tratto dal progetto di ricerca online VERBA PICTA, Università degli Studi di Firenze]
Parola e Immagine. Mostra Nazionale di Poesia Visiva a cura del Gruppo ’70 (1967) | Galleria d’Arte Moderna La Soffitta | Colonnata (Firenze)
In collaborazione con la rivista “Il Portico”, a cura di Camillo (Lelio Missoni) e del Gruppo ’70. Artisti in mostra: Achille Bonito Oliva, Antonio Bueno, Camillo (Lelio Missoni), Emilio Isgrò, Ketty La Rocca, Roberto Malquori, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Gian Battista Nazzaro, Luciano Ori, Felice Piemontese, Lamberto Pignotti, Leonardo Rosa, Gianni Ruffi, Antonino Russo, Luigi Tola, Franco Vaccari, Guido Ziveri.
POESIA VISIVA / POESIE E NO 3 (1965) | Libreria/Galleria Guida | Napoli
POESIA VISIVA – Mostra a cura di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Artisti in mostra: Achille Bonito Oliva, Emilio Isgrò, Lucia Marcucci, Gian Battista Nazzaro, Luciano Ori, Felice Piemontese, Lamberto Pignotti, Antonino Russo.
POESIE E NO 3 – A cura di Eugenio Miccini e Lamberto Pignotti. Testi di Emilio Isgrò, Lucia Marcucci, Eugenio Miccini, Luciano Ori, Lamberto Pignotti. Azione pittorica di Antonio Bueno. Film-collage di Silvio Loffredo. Manifesti di Lucia Marcucci.
Il CAMeC Centro Arte Moderna e Contemporanea della Spezia rende omaggio alla storica galleria Il Gabbiano che, in cinquant’anni di ricerca artistica e con oltre 500 mostre, ha portato in città le eccellenze dell’arte contemporanea italiana e internazionale, con approfondimenti dedicati alla Poesia visiva, a Fluxus, all’Arte concettuale, alla Body Art e alle esperienze legate alla musica e al suono.
L’esposizione “Attraverso l’arte. La galleria Il Gabbiano 1968-2018“, in programma dal 27 maggio al 25 settembre 2022 al secondo piano del Museo e nella project room, è curata da Mario Commone in dialogo con Mara Borzone, Francesca Cattoi, Cosimo Cimino, Lara Conte e Marta Manini, ideatrice del progetto grafico e di allestimento; la direzione del progetto è affidata ad Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati, conservatrici del Centro.
Il Gabbiano ha avuto il merito di porre al centro del suo percorso la figura dell’artista, attenzione posta fin dagli esordi probabilmente perché la galleria, attiva dal 1968 al 2018, è stata sempre condotta da soli artisti, spinti dalla necessità di avere tra di loro e con il pubblico uno spazio di dialogo e di confronto. Ci sono comunque state nel corso degli anni fruttuose collaborazioni con critici e storici dell’arte, nonché galleristi, che hanno contribuito a ramificare sempre più la rete di contatti e conoscenze che ha reso la galleria nota a livello nazionale e con numerosi contatti anche all’estero.
La galleria Il Gabbiano nasce alla Spezia nel 1968 per volontà di una dozzina di artisti. Un’esigenza probabilmente scaturita dalla mancanza in città di situazioni analoghe ed essendo venuto meno da pochi anni anche il Premio del Golfo, rassegna periodica di pittura di rilevanza nazionale.
Gli interessi del Gabbiano – nel frattempo gli artisti che compongono il circolo si riducono a quattro (Fernando Andolcetti, Cosimo Cimino, Mauro Manfredi e Clara Milani) – si orientano poi verso le ricerche d’avanguardia che si affiancano al concettuale, quali la Poesia visiva e Fluxus, in particolare grazie ai rapporti con artisti importanti come, ad esempio, Mirella Bentivoglio, che ha contribuito a mettere in relazione tutta una serie di altri artisti che lavoravano secondo un linguaggio legato sia alla parola che all’immagine fotografica, quindi alla loro connessione. Altro artista e teorico importante che ha stretto una ininterrotta collaborazione fino agli ultimi anni è Lamberto Pignotti, tra i padri della Poesia visiva, con lui Lucia Marcucci, Eugenio Miccini e Giuseppe Chiari, tutti protagonisti di collaborazioni e mostre personali alla galleria Il Gabbiano.
Lucia Marcucci – Logopatia (2006)
Negli anni quindi Il Gabbiano ha visto passare opere di numerosissimi artisti, oltre a quelli già citati, ad esempio, la spezzina Ketty La Rocca – contribuendo a far conoscere il suo importante lavoro -, Mimmo Rotella, Ugo Nespolo, Richard Smith, Ben Vautier, Philip Corner, Takako Saito, Jiri Kolář, Emilio Isgrò, Ben Patterson, Sarenco, Rodolfo Vitone, Maria Lai, Gillo Dorfles, Nanni Balestrini, Pietro Grossi.
Un capitolo a parte merita il sodalizio con il pittore Edo Murtić, che a partire dal 1970 ha realizzato numerose mostre personali, lavorando praticamente in esclusiva e producendo litografie inedite per Il Gabbiano.
Il progetto espositivo ripercorre la cinquantennale vicenda della galleria attraverso una silloge di oltre centocinquanta opere. Nella project room è inoltre proposta un’installazione corale, che riprende le dinamiche espositive della galleria, caratterizzate sovente da mostre collettive e tematiche, per le quali i partecipanti, in formazione variabile, erano chiamati a inviare un’opera secondo le indicazioni richieste, creando delle vere e proprie collane che avevano anche uno sviluppo editoriale. Per l’occasione, cinquanta artiste e artisti, che nel corso degli anni hanno esposto al Gabbiano, sono stati invitati a dare un contributo-omaggio alla mostra sotto forma di bandiera. La bandiera diventa così simbolo di libertà e leggerezza, elementi che hanno sempre contraddistinto l’identità del Gabbiano.
A cura di Mario Commone In collaborazione con Mara Borzone, Francesca Cattoi, Cosimo Cimino, Lara Conte, Marta Manini Direzione del progetto: Eleonora Acerbi e Cinzia Compalati
A me interessa, soprattutto un discorso molto libero. Dagli inizi, fino al 1968, cioè a quando vi siete sciolti come Gruppo ’70.Chi c’era, chi non c’era, le tappe fondamentali, comunque importanti, il percorso di questi cinque anni dal suo punto di vista naturalmente.
Eh, sì, appunto, si può iniziare dalla mia acculturazione che si maturò, nella maggior parte, in famiglia. Mio padre era geometra capo all’acquedotto fiorentino, esperto di botanica e di meccanica, per giunta aveva l’hobby della fotografia. Quando venne l’alluvione perse, nel suo studio, quindicimila fotografie, era inoltre interessato da ogni tipo di tecnologia. Per esempio, si costruì una radio. Se la costruì con tutti gli strumenti che poteva reperire sul mercato ma qualcuno se lo fabbricava da se: gli piaceva moltissimo. Mio nonno andava a vedere i futuristi al teatro della Pergola, soprattutto Marinetti. Quando tornava, non so se andò anche a Milano, invece che raccontarmi le novelle mi raccontava dei futuristi e di tutto il caos che succedeva a quegli spettacoli. Mia nonna era un’aristocratica decaduta quindi aveva ricevuto un’educazione molto particolare, scriveva, leggeva, aveva amicizie in ambito inglese-fiorentino. Mio nonno, invece, discendeva da una famiglia di musicisti. Il mio avo Hermann von Hagen, padre di mia nonna, era venuto sulle orme di Goethe a fare un viaggio culturale in Italia e si fermò a Livorno, dove sposò Vannina Achiardi. Si stabilirono in seguito a Firenze, quindi, da quella progenie, ho avuto un’educazione non propriamente borghese, un po’ particolare, in casa, per esempio, i “paesaggini”, le “naturine morte”, mai, l’arte doveva essere o aulica o d’avanguardia; infatti due bellissimi quadri neoclassici con i ritratti degli avi che spiccavano nella sala, ora sono nel mio modestissimo salotto. La libreria di mio nonno era fornitissima di saggi filosofici, di spartiti teatrali, di varia letteratura, ecc… anche lui leggeva moltissimo. Era oltretutto appassionato di fiori, faceva i più difficili innesti. Ecco perché questa propensione per la sperimentazione mi viene sicuramente da questo variopinto tipo di educazione.
Poi qual’ è stato il suo percorso?
Ho fatto il Liceo Artistico e dopo sono andata per qualche tempo all’Accademia, ma non mi si confaceva: ho lasciato e mi sono sposata. Col mio ex marito, si cominciò subito, a Livorno nel ’57, (mi son sposata nel ’55), a frequentare ambienti letterari e teatrali. Già allora elaboravo delle cose un po’ strane… facevo degli scarabocchi, un po’ particolari, incollavo, progettavo scenografie sempre un po’ fuori dalle righe.
Ma sul versante visivo o poetico?
Tutt’e due, su entrambi i versanti, avevo la propensione alla “mescolanza”, all’interdisciplinarità.
E’ un discorso di fascinazione sulla poesia concreta?
No, no. Era una contaminazione fra la figura e la parola. L’immagine diventava quasi simbolo insieme alla parola: era un tutt’uno.
L’interesse per l’aspetto visivo più che per quello per così dire poetico?
Ma… per tutt’e due, perché ho cominciato sia a fare delle opere solamente visive, sia a fare delle poesie. Sì, in principio lineari, poi quando cominciai a frequentare loro [i poeti visivi] già avevo fatto esperienza di contaminazione interdisciplinare. Venivo spesso a Firenze, perché nell’entourage della cultura livornese, a parte il teatro “Il Grattacielo” che era gestito da un gesuita illuminato, mi sentivo un pochino oppressa.
M’immagino ancora tardo macchiaiola…
Eh, i postmacchiaioli c’erano dappertutto, mare mosso e triglie… una cosa terribile.
Gli epigoni…
Sì, piacevano tutti gli epigoni, più in là non andavano. Quando si cominciò, io con l’ex marito, a fare testi teatrali di Beckett, Ionesco, Dürrenmatt, Eliot, gli espressionisti tedeschi, ecc. al “Grattacielo”, erano drammaturgie abbastanza fuori dalla comprensione dei più, lì a Livorno, assolutamente. Quando seppi di un certo letterario fermento a Firenze, incominciai a frequentare Ferruccio Masini, Salvi, Pignotti, Miccini…
Lucia Marcucci – Progetto grafico
Salvi mi raccontava che lui nasce come poeta lineare.
Sì, era lineare, come del resto Miccini e Pignotti. Scrivevano insieme sulla rivista “Letteratura” nell’inserto Dopotutto, poi si divisero.
E poi si divisero, e Salvi mi raccontava che lui è rimasto sul versante poetico.
Lineare, si occupava di minoranze etniche e dei dialetti. Non era particolarmente attratto dai testi visivi. Anzi, entrò in polemica… aspramente, proprio, con Pignotti
Tornando a noi, poi, invece… ecco lei continuò… lei fa esperienza di poesia lineare.
Sì, sì. Poi faccio esperienza anche di poesia tecnologica con manifesti composti a mano con caratteri in legno
Quindi il primo momento di aggregazione reale, qual è? Il Grattacielo?
Sì. Il Grattacielo fu una occasione per un primo contatto con questi poeti. Volevo mettermi in contatto concretamente, perché in un primo tempo ero stata più dall’altra parte, la parte del Salvi. Poi vidi che erano troppo tradizionalisti e ostili a un certo tipo di sperimentazione e, per il mio carattere, io che volevo sempre essere un pochino all’avanguardia e, che in tutte le cose, i “parrucconi” mi davano fastidio, capii che gli altri, quelli che questa parte “odiava”, erano quelli che mi interessavano di più. Ecco perché nel ’63 feci invitare dal gesuita illuminato Miccini, Pignotti e Chiari al “Grattacielo”, che allestirono e agirono una prima esperienza di Poesie e no.
Poesie e no è stato mai registrato?
No. Che io sappia. Però, registrato… se ci fosse stato qualcuno che ci registrasse, no, non credo. Può anche darsi, perché poteva succedere di tutto. Certamente avevamo delle fotografie, e di quelle qualcuna ce l’ho dove compare anche Isgrò che si era unito a noi, ma che restò per poco tempo. I redattori della rivista La Battana (rivista che aveva pubblicato nel ’65 due miei manifesti), ci invitarono in Jugoslavia, dove Poesie e no fu presentato al teatro di Fiume. Andammo con tutti quei copioni e con molto entusiasmo. Con i copioni: lì si recitava proprio. Con i miei manifesti, quelli pubblicati sulla rivista, si cominciò molto scenograficamente perché Bueno li incollava su una lavagna, li strappava, li rincollava anche lacerati, così, per fare più teatro, per attirare il pubblico…
Com’era organizzata la scena?
La scena era organizzata abbastanza spartanamente, oggi si direbbe minimale: un registratore dava musiche varie: brani d’opera, valzer, polche… anche canzonette all’ultima moda: Gianni Morandi, l’Equipe ’84, Mal, ecc… sì, sì, sì. Un po’ di tutto… c’era una lavagna… una specie di lavagna, dove Bueno attaccava i miei manifesti, e poi li stracciava, faceva una performance… e poi noi, sul palcoscenico, che recitavamo… ah, avevamo tutti delle bombolette spray, sia di insetticida… sia di qualcosa di profumato, con cui si irrorava il pubblico, io bevevo la Coca Cola… il veleno di Giulietta! Questa contaminazione, questa interdisciplinarità in fondo era un collage. Un collage di tutte queste cose. Sia sonoro sia visivo. Ecco. Questa contaminazione, questa manipolazione di sonorità, e di visioni anche… proprio un’opera completa. In fondo l’arte è razionalità sublimata attraverso elementi irrazionali… forse.
E. Isgrò, L. Marcucci, E. Miccini, L. Pignotti
Collage sensoriali…
Beh, sì. Potrebbe essere, potrebbe essere definito così. Comunque noi si diceva “happening”. Ecco, e ci si divertiva tanto. Perché si facevano e si concretizzavano delle narrazioni particolari, delle esperienze contaminatorie, appunto. Ho sempre detto e saputo di volere qualcosa di originale. Beh, insomma, in fondo con la mia esperienza… gli insegnamenti culturali avuti dalla famiglia mi hanno giovato molto, perché io non ero ignara dell’arte in genere e delle sperimentazioni dei futuristi sin da bambina. Quando mio padre sviluppava le sue fotografie, le virava alcune col colore, a quei tempi era un reale e coraggioso esperimento, mescolava sapientemente gli acidi nelle bacinelle. Ce n’erano tante nella camera oscura; lui si metteva lì, con una piccolissima luce rossa e mi chiamava, diceva: “vieni qui”, mi insegnava come fare a sviluppare i negativi e a fare certi ingrandimenti con il proiettore. Attraverso queste magnifiche esperienze, sono sempre stata attratta e agevolata verso la prova, l’indagine e, talora, lo stravagante risultato.
E soprattutto l’ispirazione era il futurismo, insomma…
Beh, i padri della poesia visiva secondo me, sono i futuristi. Picasso, i dadaisti; il Dadà viene dopo. Insomma, l’avanguardia italiana l’hanno cavalcata i futuristi. Purtroppo finirono un po’ male, perché si imbatterono nel fascismo… ma poi ne furono vessati e ricusati. Ad ogni modo erano quelli i tempi della radio da cui ascoltavamo i discorsi retorici e no, le musiche, le commedie, in un impressionante stimolo sonoro, le opere: la voce un poco gracchiante ma che si poteva abbassare o aumentare di volume… faceva una certa impressione almeno a me bambina! Poi quest’avventura, affascinante, incantevole della prova e dell’errore con cui si può andare avanti.
E poi mi sembra anche… questa percezione del presente.
Oh… ecco. Questo, anche. Un’acuta percezione del presente, la contaminazione con i mass-media. Ecco, vede tutte queste opere con i fumetti. Anche questa, è del ’65. Ecco, i fumetti, le prime pubblicità, e l’avvento della televisione, le scenette di Carosello era, il tutto, un linguaggio nuovo nuovo. La contaminazione fra la parola e l’immagine, son tutte queste cose, che in fondo hanno fatto concretizzare un linguaggio artistico alla portata di tutti. Secondo me, secondo tutti noi del Gruppo ’70, era un linguaggio, un’arte con l’a minuscola, cioè che poteva essere fruita a tutti i livelli, aperta a trecentosessanta gradi.
Una sorta di nuovo volgare.
Sì. Preciso.
Però volevate veicolare anche una forte critica e opposizione.
Sì… certo, una forte critica, sia ideologia, sia politica, sì…. Forte critica ai mezzi persuasori occulti e non occulti; non si chiamavano mass-media, a quel tempo. Si chiamava informazione di massa. Sì, appunto, comunicazione e informazione per la massa da parte del potere. Noi cercavamo di cambiare il codice con cui ci davano questa informazione/disinformativa… ci veicolavano tutti questi input da cui ci dovevamo difendere: allora si cambiava il codice e il senso e sparavamo con lo stesso tipo di linguaggio cambiandolo di segno.
Un modo per impugnare l’arma del nemico…
E’ certo.
… e sparare
E sparare, sì. Con la stessa arma. Con la stessa pallottola, sì. E io, ancora continuo, perché prendo i cartelloni pubblicitari, della più banale comunicazione e li manipolo, li stravolgo cosicché cambiano del tutto il senso per il fruitore, per lo spettatore. Ho fatto sempre… quasi sempre così. Ho sempre preso gli scarti, fra virgolette, della comunicazione, cioè, il materiale che trovavo, (fotografie, immagini, brani di articoli giornalistici di vario significato ecc.) e che trovo ancora, nell’informazione pubblicitaria, lo mischio, a modo mio, lo stravolgo e lo rendo… opera.
Ecco, ritenete di essere riusciti nella creazione di questo nuovo volgare?
Mah,
O comunque nel tentativo di abbattere il nemico con le sue stesse armi?
No, abbattere il nemico no… i nemici è difficile abbatterli.
Risorgono, no?
Risorgono, e forse debbono risorgere, perché se si abbattesse il nemico, addio. Va giù il desiderio di abbatterlo.
Qual’ era la percezione del vostro pubblico?
La percezione… il nostro pubblico ci prendeva a schiaffi, o quasi. A fischi. Alcuni, proprio, ci odiavano. Alcuni ci battevano le mani … alcuni, proprio, “ma che cosa fate? Son cose banali… son cose…”, uh… mamma mia. Mi ricordo, anche, nelle Case del Popolo, dove noi andavamo, proprio perché in fondo erano i nostri compagni, non ci capivano per niente. Perché, fra questi fruitori e noi, c’era un abisso culturale, in fondo ci riconoscevano un pochino troppo intellettuali e veramente lo eravamo, cosicché c’era proprio un divario, che noi si cercava di superare… in fondo, piano piano, ma non ci siamo mai del tutto riusciti. Ora è dilagata la nostra intuizione, fanno tutti la poesia visiva o credono di farla! Ci sono dei personaggi che la poesia visiva la frequentano ora… ho visto qualcosa di Spoerri.
Il nouveau realisme, o qualcosa del genere?
Non lo so. Sì, ma…
Ci sono delle contaminazioni a posteriori, forse…
Sì… sì. A posteriori perché, forse, il nostro tempo porta a queste contaminazioni. Non basta più l’immagine, c’è qualcosa di più contaminante. C’è questo percorso, che non può più essere diviso, ecco, è un qualcosa di magmatico che bisogna prendere come spirito del tempo. E questa cosa che inquieta… però, certo, i primi tempi sono stati molto duri… Anche ora, se sente, qua a Firenze chi ci conosce? Ci conoscono all’estero. Se va a Parigi, Londra, … eh, c’è roba nostra, alla Sorbona, eccetera, poi… mi diceva Gianni Bertini, a Parigi si conosce bene la poesia visiva. E a Firenze no.
Il mercato di Firenze lo conosciamo tutti, città…
Ecco è vero. Firenze niente, a Milano, un po’ di più, per carità, certo, un pochino di più però… E’ dura ma mi è piaciuto combattere. Mi piace combattere. Appunto, non voglio vita…
… tranquilla.
… tranquilla.
Se mai mi sembra che oggi ci sia una ripresa, se non altro, di modalità… grafiche dal vostro lavoro, anche nella pubblicità contemporanea.
Sì… ecco. Si. A un’amica, intelligentissima ma che non s’intende d’arte, quando mi conobbe, qualche anno fa, le feci vedere uno dei cataloghi delle mie opere, lei, dopo una certa riflessione, mi disse: “ma sai che mi rammenti? I film di Almodovar”. Perché vedeva una visione della composizione diversa. Una composizione non lineare. Non secondo i canoni delle composizioni… e colse, proprio, questa cosa di Almodovar, quei primi piani essenziali e inusuali dei suoi film.
Una specie di collage.
Una forma di collage.
Poi, continuando nel percorso… il sodalizio con Miccini, dunque…
Miccini, Pignotti. Miccini era il più combattivo. Pignotti, invece, era più concreto, pacato chiariva bene i concetti delle cose che potevamo fare culturalmente nel gruppo. Il teorico è Pignotti. Le prime opere di poesia tecnologica venivano fatte grazie al supporto (ai fondi delle opere) di Antonio Bueno, di Lastraioli, di Barni, di Moretti e di Roberto Malquori. Posseggo un’opera di Barni con l’apporto di frasi del Miccini datata 1965
Malquori e Bueno. Quindi chi porta la pittura in questo gruppo, alla fine, è… Bueno.
No. Allora, Bueno… no, non fu lui che portò la figurazione, furono Miccini e Pignotti che chiesero aiuto a lui. Cioè, loro avevano già in mente questa contaminazione con le immagini. Solamente non le sapevano fare. Bueno aveva la disposizione per tutto ciò che era immagine… ma i teorici sono loro. Più che altro Pignotti. Miccini un pochino più così, così. Aveva una gran memoria, Miccini. Però era un pochino più… insomma, andava, a volte, di palo in frasca, invece Pignotti è sempre stato molto più rigoroso.
Ori, invece…
No, Ori no. Ori non era per niente teorico. Sì, ha scritto qualcosa, ma… no. Lui diceva: “la poesia visiva nasce senza padri”. Questa cosa, che nascesse senza padri, io non l’ho mai capita. C’è invece un substrato di arte, di cultura, di stratificazione colta che, appunto, sono nel nostro DNA… specialmente il futurismo ma anche tutti gli accadimenti dalla fine del 1800 e i primi del 1900… ci sono Freud, c’è Einstein… c’è Nietzsche… la fotografia, il cinema… scherziamo davvero? Non si può ecco perché… Ori non lo so… era bravo. Però… no, no. Per niente teorico, anzi, per certe cose, proprio… nulla. Era uno che… che faceva opere molto belle, per carità, tutte molto rigorose, precise, quasi canoviane… Però non teoricamente… no, no. Non era un intellettuale, Ori. Veniva proprio dalla pittura senza un substrato culturale.
E Chiari?
Chiari era una testa di ariete. Ad un certo punto sfondava con la sua genialità, perché era geniale… Lui, anche nei dibattiti, se qualcuno gli domandava qualcosa, aggrediva. E lo zittiva, però come teorico… come formazione teorica no. Quindi no, nemmeno Chiari… Miccini e Pignotti sono stati i più teorici, gli altri no. No, Chiari era geniale. Quei suoni sì, belli, certe composizioni molto, molto interessanti e suggestive, molto belle. E geniali. Però, non sapeva nemmeno di musica, non sapeva nulla della formazione musicale. Però si era strutturato, proprio come uomo, come l’uomo di avanguardia.
Mentre Bussotti…
Bussotti era un musicista che con tutta la sua estesissima cultura musicale… faceva delle cose d’avanguardia bellissime. Aveva esposto insieme a noi dei magnifici spartiti…
Poi come siete andati avanti? Quel convegno del ’63 al Forte di Belvedere?
Sì. Quel convegno, io andai, appunto, a sentire, perché… ero già nell’ambito loro, però non presi la parola, non intervenni. In città nel contesto letterario non ci sopportavano . Mi ricordo, le prime volte, ci si trovava al caffè Paszkowsky, e c’erano Luzi, Betocchi, Bigongiari, ci guardavano come dire: “e voi cosa volete?” Loro avevano la verità in tasca… erano poeti ma al massimo ermetici… Mi ricordo che una volta… io avevo delle poesie linearie con esse sotto il braccio andai da Fallacara. Fallacara lesse le poesie e mi chiese: “ma sei sposata?”, “sì”, “Allora: fai bambini”. Ma guarda questi poeti parrucconi! Da quel momento non ho più chiesto nulla a un poeta parruccone… Luigi Fallacara, era un omino simpatico, ma… mandarmi a far bambini! Fu troppo. Dopo il Convegno a Forte Belvedere il Gruppo si strutturò e insieme (spesso solo noi poeti visivi) fummo via via invitati a Venezia, a Napoli, a Palermo, a La Spezia, a Genova. Anche il Gruppo ’63 ci invitava ai convegni. Nel ’67 fui invitata dal gruppo ’63 a La Spezia, a leggere brani dal mio libro dal titolo “Io ti ex-amo”.
“Io ti ex-amo”, quello pubblicato da Techne?
Sì, lessi per il Gruppo ’63 “Io ti ex-amo”. Andavamo spesso a tenere mostre, in Italia ma anche all’estero abbiamo fatto moltissime mostre… purtroppo non ci facevano i cataloghi, facevano soltanto qualche depliant niente di più. Ma si viaggiava molto. Fummo invitati in Jugoslavia per un convegno organizzato dai redattori della rivista La Battana, e fu una cosa abbastanza interessante perché non mancavano i relatori del livello di Umberto Eco.
Vi siete chiamati Gruppo ’70
Sì, per differenziarsi dal Gruppo ’63. Loro erano di formazione più accademica, più rigida e COLTA, la nostra contaminazione fra parole e immagini non li interessava molto.
Eco che ruolo ha avuto?
Che ruolo? A quei tempi, oltre un stimatissimo sociologo, era un barzellettiere, anzi un favoloso barzellettiere e bisognava ridere anche se spesso erano incomprensibili! Aveva una grande memoria, adorava la semiologia e tutti gli stimoli mass mediatici, il suo linguaggio era nuovo, più aperto a sollecitazioni… opera aperta! Al ritorno dal convegno ad Abbazia, andammo da Diego Valeri a Venezia: era un vecchio poeta ma non chiuso anzi interessato alle avanguardie. Ci ricevette, parlammo tanto, ci disse molte parole incoraggianti e volle che gli si lasciassero dei testi di Poesie eno. Molto diverso da quelli con le incrollabili certezze… e le verità in tasca.
Quando avete cominciato ad avere contatti con artisti stranieri?
Ah, ciò accadde nel ’70, ’71, ’72. Quando, nel ’68, ci si lasciò… diciamo, nel ’69, ’70, dopo Fiumalbo. Ci si sciolse effettivamente nel ’68… dopodiché chi giunse? Sarenco.
E’ stato lui a veicolare i contatti con gli stranieri?
Sì. Sì, lui fece una strana cosa, quasi un atto Dada, Dadà… simile a quello che avevamo fatto noi nel ’67 con la falsa mostra a Pechino…
La falsa mostra…?
Sì. Fece una falsa mostra a Stoccolma. Fu questo l’iter: andò a Stoccolma, andò al museo. Distrasse le segretarie, non lo so come fece… prese un pacco di fogli, con l’intestazione… e fece questa mostra… falsa. Questo nel ’70. Questo gesto gli valse la nostra stima e organizzammo insieme il gruppo dei nove, dove però non c’era Lamberto Pignotti. C’erano Miccini, Ori, Marcucci, Perfetti, Sarenco, Bory, Damen, Arias-Misson e De Vree.
Una delle vostre caratteristiche, appunto, come si diceva prima, è quella di essere fortemente nel tempo.
Sì, ecco. Fluttuanti nel tempo. Di sentire lo spirito del tempo, e di essere coraggiosi, abbastanza.
C’è sempre una forte dichiarazione di tipo politico?
Sì, sì. Certo. Tutte gli avvenimenti che riguardavano la guerra del Vietnam i miei manifesti, che sono abbastanza politicizzati… eh, sì. Ma poi tante opere… Insomma, si tennero diversi convegni, diverse mostre sempre impegnate e di forte valenza politica. Fu fatta la prima volta a Firenze poi fu rifatta un po’ cambiata nell’ambito della biennale a Venezia, la mostra “Luna-Park”, con i fantoccioni del Bueno, con i testi di Pignotti, che erano intercambiabili con quelli del Miccini
Certo, ripensandola, questa Firenze ora così…
Firenze, ora è bottegaia e basta. A quell’epoca c’era fermento perché, insomma, usciti da una stagnazione, da un momento culturale piuttosto… piatto e tutto volto verso un primo impatto consumistico, c’era la voglia pregnante di muovere le acque state immobili fin dopo il movimento del Futurismo: le avanguardie dei primi anni del secolo, poi le guerre, poi il tempo di rimarginare le ferite e, al fine, tutto si era acquietato.
Dunque Bueno…
Era generoso Antonio. Giovane, nel senso, che si impegnava molto passionalmente in queste sperimentazioni, non aveva timore di buttarsi allo sbaraglio non tenendo minimamente conto dei suoi collezionisti che forse si saranno chiesti… ma come mai!
Era amico di Venturino…
Sì. Era di quella specie lì, ecco. Più volti verso qualcosa di diverso, di più contemporaneo.
Credo che Venturino non avesse interesse alla contaminazione.
Un solitario, era un solitario. Noi lo stimavamo ma non ci sono stati stretti contatti. Del resto eravamo molto presi da tutti gli avvenimenti e dalle richieste che ci coinvolgevano quotidianamente. Voglio rammentare il periodo delle cinepoesie, dei collages musicali, (pizze di pellicole in 16mm, musicassette, ecc.). L’attività del Gruppo ’70 fu veramente di una intensità notevole… adesso continua individualmente con discreti risultati.
da PAROLE CONTRO 1963 – 1968 il Tempo della Poesia Visiva, a cura di Lucia Fiaschi, 2009