Magellano ha dato il suo nome ai pinguini, quei pinguini innamorati e filmati, circolanti in Patagonia, anche Antonio Pigafetta, durante il suo giro del mondo, nella Penisola di Valdés deve aver fatto qualcosa a proposito di elefanti marini, otarie o qualcosa di simile; coccodrilli, caimani, alligatori tutti differenti fra loro non si sa in che cosa: cinque secoli fa’ dare un’occhiatina a questi animali era un’avventura di sicuro, senza sponsor o almeno gli sponsor erano blasonati e rari, per averli era un lavoro immane di cortigianeria e adulazione. Mentre Erik il Rosso scopre la Groenlandia, altri scoprono il fiume Omo, le sue sorgenti e la sua foce. Una miriade d’esploratori ha lasciato le ossa in qua e in là per la Terra, ci dovrebbe essere un archivio con tutte le date, i luoghi, i nomi di quei benemeriti coraggiosi che della scoperta di nuove latitudini e longitudini hanno fatto la mèta della propria vita. Il fiume Diamantina è acqua di scontro tra coccodrilli e squali, chi ha la peggio non si sa, dato che l’Australia è territorio di misteri compresi le musiche, i canti e i disegni degli aborigeni. Torniamo in volo ai panorami della Terra del Fuoco che hanno nomi evocatori: Punta Tomba è tutto un programma, i pinguini che si tuffano fanno una fatica immane a tornare in superficie, sembra che su cento ne torni uno. Ma non ci importa niente dei suddetti animali nonostante qualche verde gridi vendetta: preferiamo i bambini kirghisi.
L’aereo progettato dall’equipe di von Braun era un triangolo e non aveva né fusoliera né coda ma non ebbe vita facile, sembra che accusasse dei problemi non risolti e anche i missili V2 delle solite misteriose problematiche ne ebbero a iosa un po’ come i Templari, misteri su misteri Graal compreso. Per non parlare di Castel del Monte e di Federico II: otto per otto sessantaquattro per otto cinquecentododici le cui cifre sommate fanno otto, guarda caso, e con un pozzo straordinario, ora chiuso, nel bel mezzo in cui era iscritto un ottagono; gli arredi erano arazzi con figurazioni narranti chissà quali storie, facevano bella mostra sulle pareti e chiudevano le finestre quando era necessario. Sembra che lo studio delle costellazioni e dei loro influssi sull’umanità fosse lì giornaliero, i saggi filosofi, alchimisti e astrologi erano ospiti fissi e Federico li cavalcava a suo piacimento, forse con un po’ di plagio se li portava anche a letto. Per tornare a von Braun pare che anch’esso girasse intorno al numero otto, si chiamava Otto, almeno di secondo o di terzo nome, il millenovecentotrentotto c’entra in maniera molto interessante nella sua vita: in quella data si sposò ed ebbe otto figli, qualcuno però non dello stesso letto. Come non essere sensibili a tutte queste, per alcuni coincidenze, per altri disegni di menti superiori ben strutturate? I triangoli si sprecano: linee che dalle basi o dalle punte delle Piramidi vanno dritte dritte su Parigi passando per Torino, per Praga, per Chiesina Uzzanese, per lo stesso Castel del Monte, indicanti pressappoco o giù di lì l’Arca dell’Alleanza contenuta nei sotterranei di Orvieto, di Roma o dell’Asmara, o forse in un bunker non ancora scoperto a Berlino. Cerchi magici intersecano i lati dei vari triangoli indicando altri luoghi dove ci possono essere energie molto forti e dove viene consigliato di sostare per sentirne i benefici influssi. Queste linee segnano anche ipogei di Lucumoni sparsi per le antiche città etrusche alcuni riportati alla luce e pieni di turisti, altri ancora da ritrovare e scavare alla ricerca di bei segreti di quel popolo ormai abbastanza rivelato ché di misteri ne restano, ohimè, pochi. La confusione è assicurata, possiamo dire qualsiasi cosa e il contrario: ci sarà sempre qualcuno ma che dico, tanti che giurano sulle energie elettriche e organo-elettriche, sui dodici uomini che tirano le fila del mondo e dell’altro mondo, Allah, Dio, Geova, Buddha, Shiva, Bush, Putin, Abdullah Ibrahim, Chirac, Blair… o qualsiasi altro capo di stato sono solo burattini in mano a questi misteriosi Probiviri. I cari Diderot e D’Alembert sono diventati quelli che facevano la lista della lavandaia. Non dimentichiamoci che Newton se la spassava con gli alambicchi, le bacchette magiche e allevava qualche gufo spennacchiato.
La poesia visiva è una nuova forma di linguaggio derivata dai massicci incitamenti dei media al consumo, dai molti vincoli della nostra società capitalista, dalle informazioni accumulate con le quali siamo bombardati e ridotti in schiavitù incessantemente attraverso forme e abitudini imposte. La creazione di questo nuovo linguaggio che ha riappropriato di modelli magmatici e alienanti per opporsi a loro, per compiere un’azione di guerriglia intorno, dentro e contro di loro, ha permesso di riprendere una consapevolezza critica della realtà attraverso un’operazione politica.
Il mio lavoro è iniziato con la manipolazione di slogan e immagini raccolte da manifesti e pubblicità, creando contromisure nello stile dei poster da parete, scrivendo esclamazioni sulle pagine dei giornali, prese in prestito dai fumetti dei cartoni animati. Le immagini femminili sono spesso utilizzate nel mio lavoro, con un cambio di “segno” calcolato per irritare l’abituale guardone, abituato ad assumere la riproduzione delle immagini delle donne come consumo di bellezza. Ho continuato questa operazione usando le immagini della scultura classica, corrose e quasi decadute dal tempo, o intagli gotici consumati, apponendo una frase ironica per decontestualizzare l’immagine e creare un messaggio inaspettato.
Poi sono passata al collage, usando l’impronta del corpo femminile e la scrittura: l’impronta come feticcio o come mito del mondo dell’impurità e/o della purezza tecnologica; l’applicazione della scrittura come rinascita di una poesia impropria, contaminata e compromessa con i “ricordi” di una cultura data e acquisita. L’impronta del corpo è un’espressione di disagio, ansia e disagio con l’ingombro materiale e naturale che possediamo e che dobbiamo muoverci e mettere ovunque. La presenza corporale dell’artista nel contesto politico della massa del pubblico: la sua testimonianza grezza e non coltivata in quanto tale, per quanto riguarda le costruzioni culturali del suo ambiente circostante. Il corpo e gli archi del trionfo, il corpo e il grattacielo, il corpo e il libro, il corpo e la scultura, il corpo e la fotografia del corpo, il corpo e l’eroe, il corpo e il paesaggio modificato della “cultura animal “: uomo e tecnologia.
Il messaggio è formulato attraverso un nuovo codice, attraverso l’iterazione di elementi che devono coesistere: materia, immaginazione e tecnologia. Quindi le opere della poesia visiva non procedono dalla letteratura o dalla pittura, ma come arte autonoma fuori dal conflitto dell’uomo con i mass media.
Lucia Marcucci
The Paris Review – New York – Spring 1979
Visual poetry is a new form of language sprung from the media’s massive incitements to consumption, from the many constraints of our capitalist society, from the accumulated information with which we are bombarded and enslaved ceaselessly through imposed forms and habits. The creation of this new language which has reappropriated magmatic, alienating models to oppose them, to carry out a guerilla action around, within and against them, has made it possible to resume a critical awareness of reality through a political operation.
My work began with the manipulation of slogans and images collected from posters and publicity, making counter-manifestos in the style of wall- posters, writing exclamations on newspaper pages, borrowed from the speech-balloons of cartoons. Female images are often used in my work, with a change of “sign” calculated to irritate the habitual voyeur, accustomed to assuming the reproduction of women’s images as a consumption of beauty. I continued this operation by next using the images of classical sculpture, corroded and almost decayed by time, or gothic carvings eaten away, apposing an ironic phrase to decontextualize the image and create an unexpected message.
Then I moved on to collage, using the imprint of the female body and writing: the imprint as fetish or as myth of the world of impurity and/or of technological purity; the application of writing as a revival of an improper poetry, contaminated and compromised with the “memories” of a given and acquired culture. The imprint of the body is an expression of unease, anxiety and discomfort with the natural, material encumbrance we possess and have to move about and put everywhere. The bodily presence of the artist in the political context of the mass of the public: its raw, uncultivated testimony as such, with regard to the cultural constructions of its surrounding environment. The body and the arches of triumph, the body and the skyscraper, the body and the book, the body and sculpture, the body and the photograph of the body, the body and the hero, the body and the modified landscape of the “cultural animal”: man and technology.
The message is formulated through a new codex, through the iteration of elements which must coexist: matter, imagination and technology. Hence the works of visual poetry do not proceed from literature or from painting, but as an autonomous art out of the conflict of man with the mass media.
Per Maria Grazia Chiuri, ogni collezione è il risultato di una riflessione concettuale su più livelli. Coesistono contemporaneamente la realizzazione della collezione, la definizione dell’allestimento della sfilata e il desiderio, ora più che mai, di produrre storie in grado di esprimere ciò che ha plasmato il processo creativo.
La connessione con la poesia visiva, in particolare quella dell’artista Lucia Marcucci, una delle personalità più emblematiche della sperimentazione avanguardista italiana, ha segnato la nascita di una disciplina unica.
Le parole e le riflessioni dell’artista legate all’immagine femminile vengono perfettamente catturate nel collage. Questa tecnica, particolarmente cara alla Direttrice creativa delle collezioni da donna di Dior, rievoca anche il saggio di Germano Celant “To Cut is To Think”, a cui si fa riferimento nella collezione. Il testo si impone come un manifesto, che riflette l’esigenza di mettere in discussione, in questo periodo singolare, il linguaggio della moda.
L’opera Vetrata di poesia visiva, che Lucia Marcucci ha ideato come installazione sul posto, trasforma l’ambiente della sfilata in un maestoso palco punteggiato di immense scatole di luce, richiamando la dimensione sacra delle finestre con vetrate colorate delle cattedrali gotiche. Le finestre contemporanee con vetri colorati di Lucia Marcucci si compongono di immagini tratte da riviste che dialogano con importanti opere della storia dell’arte, da Giotto a Piero della Francesca, da Georges de La Tour a Claude Monet, creando associazioni che mettono l’artista al centro del dibattito sul nuovo femminismo e la comunicazione al cuore della rivoluzione digitale.
1 Susan Sontag, Rinata. Diari e taccuini, 1947-1963.
In the early 1960’s, paper heroines emerge from the comics plates to explore a forbidden world. Their names are Barbarella, Jodelle, Pravda la survireuse (Pravda the motorized survivor)… They are free, powerful and sensual such as the Amazons. Born out of a teenage culture, they emboy a new ideal that will be the starting point for an unprecedented social and sexual revolution.
Besides these paper representations, other heroines, very real ones, take a part in the invention of a new artistic language – undoubtedly the most popular one of the second half of the 20th century: the Pop Art. Their works, like comic books, are full of vibrant rainbow colours. Through various ways, they envision a different world, with dreamed forms and bet on the construction of a better world rather than on an artificial amnesia of the dark hours of the past. Until 1973, the progressive future seem reachable (sexual emancipation, social rights, pacifism, extraterrestrial imaginations, etc.), and their works proclaim it: Love is All We Need! However, the artists are fully aware of the obstacles that litter this time capsule from 1961 to 1973, particularly with the imperialist wars, geopolitical polarities, the frantic race for consumption, etc. In this sense, the Amazons of Pop become complex, creaky … and tinged with raging humour.
For the first time on this scale, She-Bam Pow POP Wizz! tells us the open story of a generation of European and North American women who contributed with bold and flamboyance, to a less famous side of international Pop Art. For MAMAC 30th anniversary, this exhibition highlights a major axis of its collection – the face to face between New Realism and Pop Art – and one of its charismatic figures: the Franco-American artist Niki de Saint Phalle. In her wake, it is the essential contribution of female artists to Pop Art history that is shown here.
Artists and Amazons: Evelyne AXELL, BARBARELLA, Brigitte BARDOT, Marion BARUCH, Pauline BOTY, Martine CANNEEL, Lourdes CASTRO, Judy CHICAGO, CHRYSSA, France CRISTINI, Christa DICHGANS, Rosalyn DREXLER, Giosetta FIORONI, Jane FONDA, Ruth FRANCKEN, Ángela GARCÍA, Jann HAWORTH, Dorothy IANNONE, JODELLE, Jacqueline DE JONG, Sister Corita KENT, Kiki KOGELNIK, Kay KURT, Nicola L., Ketty LA ROCCA, Natalia LL., Milvia MAGLIONE, Lucia MARCUCCI, Marie MENKEN, Marilyn MONROE, Louise NEVELSON, Isabel OLIVER CUEVAS, Yoko ONO, Ulrike OTTINGER, Emma PEEL, PRAVDA la survireuse, Martha ROSLER, Niki de SAINT PHALLE, Carolee SCHNEEMANN, Marjorie STRIDER, STURTEVANT, Hannah WILKE, May WILSON.
This exhibition has been recognized of national interest by the Ministry of Culture. As such, it receives exceptional financial support from the State.
During the month of October 2020 on awarewomenartists.com you will find focuses 3 times a week on the artists of the exhibition She-Bam Pow POP Wizz! Les Amazones du Pop, thanks to the partnership with AWARE (Archives of Women Artists, Research and Exhibitions).
Exhibition curator:
Hélène Guenin, director of MAMAC & Géraldine Gourbe, philosopher, art critic and curator
MAMAC – Nice (France) 03 October 2020 – 29 Août 2021
Le gallerie bresciane Galleria dell’Incisione e APALAZZOGALLERY rendono omaggio con due mostre parallele a Romana Loda, coraggiosa gallerista scomparsa nel 2010, che dagli anni Settanta ha svolto a Brescia un ruolo fondamentale nella valorizzazione dell’arte femminile.
“Le sue scelte curatoriali — scrive in catalogo Raffaella Perna — hanno contribuito a denunciare l’assenza delle donne nel contesto dell’arte italiana, e a porre in evidenza come tale emarginazione non fosse un dato naturale e immutabile, ma, viceversa, fosse legata a precise condizioni storiche, sociali e culturali”.
Prendendo spunto da “Coazione a mostrare”, prima mostra di sole donne organizzata da Romana Loda nel 1974, la Galleria presenta una scelta di lavori storici di:
Una selezione di artiste “che hanno esposto nelle numerose mostre curate da Loda, in spazi pubblici e privati o nella sua galleria, e che con lei hanno condiviso progetti artistici e spesso esperienze di vita. Ma che soprattutto, come lei, hanno avvertito l’urgenza di impegnarsi fino in fondo nel mondo dell’arte, in un momento storico in cui in Italia essere donna e artista, come confida Ketty La Rocca a Lucy Lippard nel 1975, era ancora «di una difficoltà incredibile»”.
Le mostre sono accompagnate da un catalogo con testo di Raffaella Perna.