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È forse un caso che in molti paesi ci si ponga contemporaneamente il problema di cambiare i veicoli tradizionali della poesia? Sugli ultimi sviluppi della situazione si organizzano dibattiti e mostre, convegni e tavole rotonde. Nel corso di uno di questi incontri si è chiesto se il fine di queste operazioni di avanguardia fosse per caso il museo: è stato ribattuto che questo non è un problema, o meglio, non è il “vero problema”.
Infatti c’è una viva agitazione in giro, che non fa certamente pensare a quel tipo di collocazione. Anzi l’impostazione del problema si pone proprio all’opposto e cioè la possibile funzionalità dell’arte nell’attuale contesto. E’ ovvio che l’istituzione del museo ne ha deviato, isolando, da più di un secolo, la sua naturale e reale funzione, favorendone semmai la riproducibilità e il consumo a livelli di élite e spostandone il linguaggio referenziale.
Siamo ora di fronte a una vera e propria crisi del sistema che va superata attraverso concrete riforme del settore.
Una delle difficoltà della situazione presente è costituita dalla peculiarità di talune affermazioni e di talune sperimentazioni che possono deviare l’attenzione e spostare il problema verso soluzioni e ricerche convenzionali di analisi linguistica.
Tra gli interessi che alcune avanguardie dimostrano di affrontare sincronicamente, per una non rigida compartimentazione delle discipline estetiche e del linguaggio, mi pare che possa essere considerato più vicino alle attuali esigenze di consumo e di comunicazione il fenomeno della poesia tecnologica.

E’ un’operazione di trapianto e come ben sappiamo tali operazioni sono fra le più delicate. Infatti il grande ostacolo in genere è costituito dalla reazione che l’istituzione mette in atto per respingere ogni materia alloctona. Dunque non resterebbe altro che aspettare la naturale assimilazione? Ma c’è una alternativa: rafforzare i piani di rilancio e di potenziamento; da un lato la qualificazione dell’offerta, ossia la capacità di comunicazione attraverso un impegno più vivo e coordinato di tutti gli operatori di poesia, dall’altro il rafforzamento della capacità di competizione sul piano nazionale internazionale mediante azioni propagandistiche.
E anche: visto e considerato che l’arte è sottoposta come ogni altra cosa alle variazioni del mercato e di conseguenza i linguaggi, essendo composti da una pluralità di segni, variano a seconda del plusvalore da essi acquistato in relazione a un certo numero di interpreti, si può considerare che il veicolo capace di assumerne l’esemplificazione deve per forza passare attraverso le forme più significative della civiltà attuale, cioè deve fare i conti con i progressi tecnologici e con tutti i canali della comunicazione di massa.
Saltate le categorie logiche e etiche convenzionali che riflettono la fiducia nell’oggettivo esistere del mondo, della sua conoscibilità, nel sicuro esigere un ordinamento morale e sociale, l’ultimo atto di affermazione possibile non è che un sistema di linguaggio poetico, dove si realizzi senza residui l’esperimento e giunga a capovolgersi, quindi a esemplificarsi, il senso generale, paradossale del vivere umano.
Ora una particolarità di queste operazioni sta nella minuziosità dell’osservazione, da parte del poeta, delle vicende tecniche, da trattato specializzato, che non può essere tacciata di “deviazione professionale” ma semplicemente di accorgimento agli eventi.
E’ prevedibile infatti che l’esponibilità di un’opera d’arte venga sempre più ridotta se non continuamente aggiornata alle possibilità tecnologiche in divenire. E, se l’arte è scandalo, non è da poco scandalizzare oggi il fruitore!
Se la libertà dell’uomo è nel possesso dei mezzi produttivi, la libertà del poeta è nel possesso degli stessi mezzi relazionati.
Il contrasto tra le scienze è diventato l’argomento di fondo della nostra cultura, ma è forse un contrasto tra la conservazione e il progresso?
Un modo soggettivo di vedere le cose e la trascuratezza per la scienza e la tecnologia: è il paraocchi di molti di noi.
Lucia Marcucci
La Battana, numero 9-10 – Fiume, ottobre 1966
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