Centocinquant’anni dopo la morte di Genghis Khān, il più vasto impero della terra continuò, i discendenti mongoli, facendo tesoro dei suoi insegnamenti e delle sue strategie, seppero resistere alla pressioni soprattutto cinesi e il deserto del Gobi fu ancora, per secoli, il loro ombelico del mondo. Il mistero del Khān, che non subì mai sconfitte, arriva fino ai nostri giorni e proprio in Mongolia stanno rivalutando la sua figura storica su cui aleggia un particolare alone di deità, o meglio di sciamaneria. Molti hanno cercato la sua tomba che la leggenda vuole corredata di un favoloso tesoro ma, delusi costantemente dalle poche scoperte di scheletri improbabili perché troppo alti, troppo remoti o femminili, son rimasti sino ad ora a mani vuote ed a storia negata. Ultimo scoop il ritrovamento di alcuni resti, in un villaggio ai bordi del Gobi, sia umani che murari, indicherebbero tracce di civiltà romana, cioè una sparuta truppa di soldati romani, chissà come giunti, certo a cavallo, stanziò in quel luogo forse per anni, a riprova di ciò le fotografie di alcuni ragazzini mongoli biondi! Inoltre un numero cospicuo di scienziati avrebbero analizzato il DNA degli stessi convalidando quelle ipotesi. Beato quel popolo che non ha bisogno di eroi: a quanto sembra invece se l’EROE non c’è sul momento si va a ritrovarlo nella notte dei tempi, e se non ci fosse stato s’inventa. Il tutto corredato da cavalieri e cavalli fantasma che percorrono il deserto arido e allucinatorio in folli corse e combattimenti verso un nemico che non c’è più.
© Riproduzione riservata