Il primo fra tutti i non esseri in realtà è il poeta, mortale, nutrito di pessimismo, disordinato e pigro, che si genera da sé stesso e anche se la sua materia grigia si fosse voluta separare dal corpo brutto e volgare avrebbe finito col dissolversi e dissiparsi nell’allungamento della logorrea scriptoria, nelle pagine riempite di versi diversi ma ripetitivi, nel coglioneggiamento delle volute neobarocche e insomma sempre neo neo neo. Triste e perennemente alla ricerca del tempo perduto, fuori dalla realtà, avulso dalla contemporaneità, vagamente infelice ché la vera tragedia è di altri, a lui rimangono le briciole di un po’ di tutto, vaga, sempre con il sorrisino mesto, nel limo del sottobosco credendo di vedere di tanto in tanto il sole ma è solo il riflesso sbiadito del vetro di una finestra che si è aperta per caso. Il coraggio gli manca quasi per respirare… ruba piccole composizioni dalle sue memorie scolastiche ed è già un tentativo fuori dell’ordinario: ha osato! Osa! Ma la composizione ricade presto nelle righe e nelle rime rimate monotone, grigie, claudicanti. Il peggio deve ancora arrivare: aspetta il Nobel, presuntuoso di sé e irrimediabilmente cretino, ogni anno trepidante per il premio che non giunge mai, continua imperterrito a scrivere nei suoi fogli senza bordo e senza storia.
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