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Dal 1964 ad oggi si è scritto molto sul «fenomeno» Poesia Visiva: dopo un primo momento di smarrimento dei critici ufficiali (é pittura?, é poesia? o cos’altro?), sulla scia di pochi coraggiosi – Gillo Dorfles, Vincenzo Accame, Luciano Cherchi – e degli stessi poeti visivi, si sono poi, verificate straordinarie rincorse di partecipazioni critiche. Ma la Poesia Visiva è un fenomeno scomodo e continua ad esserlo. Nata da un’esigenza di «minuscolo», cioè di un mezzo artistico più vicino al pubblico, di un linguaggio comune e di un rapporto con i mezzi di comunicazione in uso (prelievo e ritorsione dei messaggi per mirare a connotazioni ideologiche, filosofiche, politiche per un’azione immunizzatrice e di denuncia del negativo nel contesto sociale attraverso l’elaborazione di immagini e di slogans estratti dalla stampa, dalla pubblicità, dai giornali sportivi, dal linguaggio politico, ecc.) è approdata a un vero e proprio genere, autonomo, «nuovo». La programmazione culturale e i piani estetici sono stati sconvolti, nonostante che il sistema abbia tentato più volte di emarginarla e di ridurla al silenzio. La Poesia Visiva ha realizzato un accordo, un’osmosi con i prodotti dei mass-media, privilegiando l’aspetto iconico su quello grafico-tipografico: per la poesia lo strumento gutenberghiano si era già da tempo dimostrato insufficiente, per la visione iconografica la tela dipinta non «teneva» più, occorreva trovare altri spazi, nuove dimensioni, un nuovo linguaggio comprensivo dei due ambiti. L’aspetto iconico ha indubbiamente più presa, incide emozionalmente e coinvolge, penetra e riaffiora nella memoria, si ripropone nel tempo, sulle lunghe distanze: di qui, il privilegio. E l’«osmosi» coi mass-media è in effetti una carica di esplosivo, che, ad un’attenta lettura si rivela minante il Sistema. Il «fenomeno scomodo» continua, oggi, la sua critica alle abitudini, al conformismo e all’anti-conformismo; stimola ad una presa di coscienza del momento storico altamente negativo e altamente positivo (aspetti questi che emblematicamente ed evidentemente si concretizzano nel quotidiano), cerca di esorcizzare il mito e il futuribile rito computeristico (come tenta di fare il mio lavoro odierno, anche attraverso un linguaggio risalente agli antichi segni dell’uomo). La decifrazione del fenomeno e del suo codice si fa più ardua, non può e non vuole essere più garante di una rapida decriptazione, ha necessità di una attenta lettura; la sua scomodità è programmata a garanzia, appunto, di una non banalità, di una difficoltà e serietà di ricerca anche tecnica, manuale. Negli ultimi anni troppi sono stati gli imitatori, troppe le contraffazioni (le facili contraffazioni!): il vuoto, la superficialità andavano dilagando a scapito della stessa Poesia Visiva. E troppe anche le maniere o i modi di denominazione che via, via, hanno disorientato e sviato il lettore-fruitore bombardato dalle tante mostre di «visuale», «linguaggio e scrittura», «scrittura», «nuova scrittura», «poesia visuale», ecc. La Poesia Visiva é e resta un fenomeno autonomo, a se stante; una nuova forma d’arte, non un qualcosa di ibrido o d’intermedio. Non può essere più confinata nello sperimentalismo – come alcuni continuano erratamente a sostenere – che tenterebbe di darle un ruolo inefficace, non é, ormai fortunatamente, neppure avanguardia. Il suo codice di comunicazione è ora nello spazio costitutivo dell’arte.

Settembre 1984

Lucia Marcucci

From 1964 to today, much has been written about the “phenomenon” Visual Poetry: after an initial moment of bewilderment by the official critics (is it painting?, is it poetry? Or what else?), In the wake of a few brave people – Gillo Dorfles, Vincenzo Accame, Luciano Cherchi – and of the visual poets themselves, there have been extraordinary chases of critical participations. But Visual Poetry is an uncomfortable phenomenon and continues to be. Born from a need for “minuscule”, that is, an artistic medium closer to the public, a common language and a relationship with the means of communication in use (collection and retaliation of messages to aim at ideological, philosophical, political connotations for an immunizing action and denouncing the negative in the social context through the processing of images and slogans extracted from the press, advertising, sports newspapers, political language, etc.) has landed in a real genre, autonomous , “new”. The cultural programming and the aesthetic plans have been upset, despite the fact that the system has tried several times to marginalize it and reduce it to silence. Visual Poetry has achieved an agreement, an osmosis with the products of the mass media, favoring the iconic aspect over the graphic-typographic one: for poetry the Gutenbergian instrument had already proved insufficient for some time, for the iconographic vision the canvas painted no longer “held”, it was necessary to find other spaces, new dimensions, a new language inclusive of the two areas. The iconic aspect undoubtedly has more hold, affects emotionally and involves, penetrates and resurfaces in the memory, recurs over time, over long distances: hence the privilege. And the “osmosis” with the mass media is in fact a charge of explosives, which, upon careful reading, proves to undermine the system. The “uncomfortable phenomenon” continues today its critique of habits, conformism and anti-conformism; stimulates an awareness of the highly negative and highly positive historical moment (these aspects that emblematically and evidently materialize in everyday life), tries to exorcise the myth and the future computeristic rite (as my work today tries to do, also through a language dating back to the ancient signs of man). The deciphering of the phenomenon and its code becomes more difficult, it cannot and does not want to be the guarantee of a rapid decryption, it needs a careful reading; its inconvenience is programmed to guarantee, in fact, a non-banality, a difficulty and seriousness of research, including technical, manual. In recent years there have been too many imitators, too many counterfeits (easy counterfeits!): Emptiness, superficiality were spreading to the detriment of Visual Poetry itself. And too many manners or ways of naming that way, way, have confused and misled the reader-user bombarded by the many exhibitions of “visual”, “language and writing”, “writing”, “new writing”, “visual poetry”, etc. Visual Poetry is and remains an autonomous phenomenon, in its own right; a new form of art, not something hybrid or intermediate. It can no longer be confined to experimentalism – as some continue to erroneously maintain – which would try to give it an ineffective role, it is fortunately not even avant-garde by now. Its communication code is now in the constitutive space of art.

September 1984

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